Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
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DISPERAZIONE — DISPERSIONE DEGLI EBREI
—~— - —___dire di Plinio, un altro poeta, per nome Ipponace, uomo di fattezze deformi, assali con yersi maligni i due fratelli Bufalo e Antermo, scultori che l'avevano ritratto al vivo, e li spinse ad appendersi per disperazione.
Orazio a tali componimenti diede pure il nome di preghiere tiestee, alludendo alle orribili imprecazioni di Tieste contro Atreo che gli aveva uccisi i figliuoli e datiglieli a mangiare.
Scrissero in questo genere tra* Greci anche Alceo di Mitilene, che amò le sue poesie di tutte le maledizioni che si possono vomitare contro i tiranni, e Callimaco il seniore, che inveì fieramente contro Apollonio di Rodi, cui diede il nome di Ibi. — Fra i Latini poi voglionsi ricordare le invettive di Valerio Catone contro il fiume Battaro, di Orazio contro Canidia, che fu Gratidia, e di Ovidio contro Mecenate (per quanto si crede), nominandolo Ibi, ad imitazione di Callimaco.
Questi cattivi augurii o imprecazioni possono essere fatti contro noi stessi o contro altri ; e l'una e l'altra maniera fu detta dagli Italiani disperata.
La più antica che ci rimanga è quella di Simone Forestani da Siena, detto il Savioeeo, che fiori verso la fine del xiv secolo, il quale si uccise nel suo carcere dopo di averla composta. Alcune se ne leggono inedite nelle rime di Felice Feliciano, veronese ; altre ne pubblicò Jacopo Filippo di Pelle-negra, intitolate Le bestemmie o Le maledizioni ; altre ne scrissero il Tibaldeo, Serafino Aquilano e G. B. Verini. Il Lollio ci lasciò una graziosa ed innocente invettiva in versi sciolti contro il giuoco dei tarocchi la quale appartiene a questo genere. Tutti i canzonieri del secolo xv e della prima metà del xvi contengono qualche disperata. La Divina Commedia offre molti esempi d'invettive, le quali si possono perdonare al sovrano e feroce intelletto di Dante, ma non sono degne d'imitazione. Ogni metro si addice a questo pericoloso componimento, il quale dev'essere breve com'è l'ira che lo inspira: Ira brevis furor.
Fra le invettive dei poeti stranieri nulla conosciamo di più grazioso e di più originale che quella composta sul finire dello scorso secolo dallo spa-gnuolo Fra Diego tìonealee, intitolata El murcié-lago alevo so (il vipistrello traditore), di cui si trova una traduzione italiana nel Subalpino dell'anno 1837, rivista letteraria che pubblicava^ in Torino. In questa celebre poesia suppone l'autore che l'apparizione di un vipistrello sia cagione che un calamaio si versi sopra una lettera di un amante alla sua bella, per cui quegli manda mille maledizioni al brutto animale. Notevole soprattutto è quella stanza in cui, dopo di aver descritto il vipistrello in mano di uno stuolo di ragazzi che ne fànno mille strazii, gli augura con questo crescendo novelli tormenti.
Ti battano, t'incidano, Ti premano, ti pestin, ti martellino, Ti pungan, ti scarpellino, T'infilzino, ti scarnin, ti dividano, Ti lacerin, ti squarcino, ti mozzino, Ti fendano, ti sgozzino, Ti scortichin, ti scannino, ti frangano, Nè pelle o polpa od osso ti rimangano.
Queste sono invettive innocenti; ma il genere è
cattivo quando prende pèr segno qualche persona ; quindi i giovani si contentino di conoscere il nome e il carattere di questo componimento, ma si guardino dall'esercitaiTi l'ingegno e la penna, per non offendere alle leggi divine ed umane.
DISPERAZIONE (etic.).—Perdita assoluta della speranza, stato di dolore estremo creduto insoffribile, onde l'uomo si spinge talora fino al suicidio. La disperazione suole essere occasionata dalla perdita dei beni di fortuna, o dalla morte di qualche persona a noi carissima, da dolori atroci o da incurabili malattie, da schiavitù o da insopportabile oppressione, o finalmente da disonore, da condanna, da prigionia e simili. Tuttavolta i mali morali non hanno sempre su tutti gl'individui la stessa funesta influenza delle pene corporali, avendoci uomini che vivono nell'infamia come nel proprio elemento. È vero che spesso l'onore del mondo, il cosi detto punto d'onore non ha sempre il valore che gli si attribuisce. Socrate e Catone tenevano quasi a gloria di ricevere una guanciata in pubblico, mentre i moderni uomini d'onore minacciano di uccidersi per una parola che ferisca il loro amor proprio.
Senza speranza non può conservarsi la vita, e l'in-gegnosa antichità finse che quest'ultimo dei beni umani fosse rimasto in fondo al vaso di Pandora. Se la speranza è dunque il balsamo della vita, la disperazione n'è il veleno più micidiale. Quando questa non trascinasse ad atti violenti di distruzione, lo scoramento che ne risulta altererebbe l'organizzazione nei nostri visceri, ed avrebbe per estrema conseguenza la morte. Un medico che dicesse ad un infermo : c La vostra salute è disperata », non farebbe che accelerarne il fine; e però Platone nella sua Repubblica assolve i medici dalla menzogna. Talvolta il primo momento di disperazione eccita in noi sforzi quasi sovrannaturali per superare i pericoli che ci minacciano : e lo stesso bruto combatte con estremo furore prima di cedere la vita, e pare che il coraggio gli si raddoppi in quel momento. Ma se veniamo finalmente a convincerci dell'inutilità dei nostri sforzi, allora un mortale torpore si impadronisce di noi. Quindi il sudor freddo del colpevole alla vista del supplizio (V. Speranza, Suicidio).
DISPERMA (boi). — Nome dato alle frutta, alle cassule ed agli ovarii che contengono due semi.
DISPERMATISMO (patol.). — Emissione lenta, difficile o impossibile del liquido seminale.
DISPERSIONE DEGLI EBREI (stor. ani.). — Alla voce Cattività si è già fatto cenno delle diverse vicissitudini corse dal popolo ebreo durante le diverse epoche di schiavitù anteriori alla distruzione del tempio e della città di Gerusalemme : le varie dispersioni avvenute in quelle transitorie vicende politiche non furono tali da impedire un nuovo riordinamento nazionale di quel popolo; non così della dispersione operata dai Romani sotto Vespasiano. Da poi che la bravura di Tito e le spade delle sue legioni ebbero prevalso su la feroce pertinacia ed il valore disperato degli Ebrei lungamente stretti d'assedio nella loro capitale, e che una generale distruzione involse il loro tempio e la loro città con un milione e mezzo d'infelici spenti dal ferro, dal fuoco e dalla fame, compievasi la caduta di quel vetusto edificio, sulle cui ruine gettava il cristianesimo le proprie basi. Set^iOOQLe
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