Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
DISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA
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sue molteplici forme; e questi hanno per loro porzione il profitto; -
3* Gli operai o esercenti il lavoro ; ed a costoro spetta il salario.
Or bene, si è questa triplice distinzione, posta in termini cosi assoluti, che noi non possiamo accettare. Crediamo ch'essa abbia ingenerato più d'un equivoco, e dato una forza singolare alle sètte socialiste e comuniste, le quali (fa d'uopo il dirlo) non avrebbero cattivato a sè tanti inesperti, se gli economisti avessero posto maggior cura ed esattezza nell'analisi delle vere leggi presiedenti alla distribuzione. Confessiamo che la cosa non era facile, e domandiamo anzi al lettore uno sforzo di pazienza e d'attenzione, per ben comprendere questo, che può dirsi veramente uno dei punti cardinali dell'economia politica.
Stando alla triplice distinzione degli economisti, il possidente della terra o di un agente naturale qualunque preleverebbe una porzione del prodotto, non già a titolo di rimunerazione di un lavoro attuale od accumulato, ma semplicemente nella sua qualità di fatto dell'essere detentore del suolo o di una forza di natura. Il suo diritto sarebbe una specie di bannalità, simile a quella dei signorotti del medio evo, e si fonderebbe unicamente 6ul fatto di un possesso che nulla ha ancora giustificato.
Ognuno comprende quale arma potente, quale formidabile appiglio una siffatta teoria fornisce ài nemici della società e dell'economia politica, agli uomini che, erigendosi a difensori del povero e dell'oppresso, sono lieti di vedere che i loro avversarli confessino primi che il proprietario è un monopolista, un oppressore.
Sta bene (dicono costoro) ; accettiamo per poco il vostro sistema, signori economisti: la produzione risulta dal concorso dell'uomo e della natura. L'uomo in quanto lavora attualmente, o in quanto ha lavorato prima in vista della produzione, ha diritto ad una rimunerazione. È innegabile, ogni lavoro merita mercede. Ma che l'uomo, per ciò soltanto che è stato abbastanza forte, destro o fortunato per impadronirsi di un lembo di terra o di una forza qualsiasi di natura, abbia diritto di dire a tutti gli altri uomini : pagatemi un tanto in correspettivo del mio possesso, in riconoscimento della mia sovranità, è tal cosa questa di cui nessuno al mondo riuscirà mai a persuaderci. Dov'è il titolo sul quale si fonda questo diritto ? In quale occasione e con quali parole l'Autore della natura ha diviso gli uomini in due schiere, l'una delle quali fosse padrona della terra e godesse di una rendita, l'altra non avesse che le sue braccia e dovesse contentarsi di un salario? Indarno s'invoca, a favore dei possidenti e dei padroni della bannalità, una specie di prescrizione, un'usucapione; la legge positiva ha fatto egregiamente a porre la prescrizione tra i modi di acquistare la proprietà delle cose, perchè in una società già bell'e costituita è necessario che il possesso lungo, non interrotto sia rispettato; perchè non bisogna ingannare le aspettative di chi, possedendo, ha lavorato sul fondo; perchè, infine, non si deve proteggere e quasi premiare l'improvvido e indolente proprietario che si è lasciato spodestare, rimettendolo nel fondo che ha trascurato. Tutto ciò, ripetiamo, è giusto e sta bene nella società qual è
costituita, e dietro le basi da voi stessi, o economisti, date al diritto di proprietà. Ma nella presente quistione non si tratta di legge scritta, ma di diritto naturale, anteriore a tutte le umane leggi; non di società già formata, ma del fondamento primario su cui tutta la società riposa. La vostra teoria (concludono gli oppositori) non ha valore scientifico: o trovatene un'altra migliore, o lasciateci dire che la proprietà è un furto, e che la distribuzione della ricchezza, qual è da voi esplicata, è una vera iniquità, un'usurpazione.
In verità, anche noi (lo confessiamo) ci metteremmo nella schiera di questi argomentanti se non vi fosse altra dimostrazione su cui fondare il diritto di proprietà fuorché quella data comunemente dagli economisti, e se altra teoria non vi fosse più conforme al vero per ispiegare la distribuzione della ricchezza.
Ma noi crediamo che questa più perfetta e vera teoria esista; crediamo che questa teoria valga a dimostrare che (in regola generale) il proprietario, in quanto è tale, non partecipi nè punto nè poco alla distribuzione delle ricchezze, e ch'egli vi prenda parte unicamente come lavoratore e come capitalista; crediamo insomma che la rendita non sia una delle grandi divisioni del riparto sociale, ma costituisca soltanto un caso d'eccezione verifican-tesi in certe determinate circostanze, che più sotto indicheremo; e che questo caso d'eccezione sia legittimato e giustificato dall'utilità che tutto l'umano consorzio ne risente. Per la qual cosa teniamo per fermo che la distribuzione si avveri, ingenerale, fra due e non fra tre classi di produttori. — Or trattasi di dimostrare tutto ciò. — Al quale oggetto ci occorre di risalire ad alcuni principii.
L'uomo, per soddisfare i suoi bisogni, ha d'uopo delle cose esteriori, che chiamansi beni o ricchezze. La facoltà che hanno queste di appagare gli umani bisogni dicesi utilità. Le ricchezze sono di due sorta: nelle une pose natura una utilità immediata e spontanea, talché l'uomo, per goderne, non dee sostener fatica, o dee sostenerla lievissima ; basta ch'egli apra le palpebre per ricevere l'impressione della luce, basta ch'egli aspiri per introdurre nel suo polmone l'aria atmosferica. Queste si appellano ricchezze gratuite. Nelle altre vi ha bensì un'utilità, ma riposta, ascosa, limitata da un ostacolo; e la natura disse all'uomo: tu non godrai siffatte ricchezze, se prima non avrai rimosso l'ostacolo medesimo, traducendo colla tua fatica dalla potenza all'atto l'utilità virtuale in esse racchiusa. Tali sono le ricchezze onerose, e formano il maggior numero delle ricchezze godibili dall'uomo. Finché l'argento era commisto ai minerali nelle viscere della terra, era certamente una ricchezza, perchè conteneva una utilità, ma una utilità meramente potenziale, la quale diremo godibile soltanto dal momento che l'uomo depurò il metallo. Il lavoro dell'uomo è la potenza, colla quale si vince la resistenza opposta all'effetto utile delle ricchezze onerose.
Ma quando l'uomo ha compiuto un dato lavoro e ottenuto una certa utilità, forsechè il lavoratore, prodotta una cosa utile, la consuma egli direttamente, adoperandola per soddisfare i proprii bisogni? Foisechè tutti gli uomini producono tutte let^iOOQLe
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