Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
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DISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZAcose, o non piuttosto l'idea di scambio è inseparabile dall'idea di ricchezza e dall'idea di lavoro ? — No, gli uomini non possono vivere nella solitudine; la maggior parte dei loro bisogni rimarrebbe insoddisfatta, se ognuno volesse personalmente produrre tutte le cose per lui godibili. La naturale differenza delle attitudini generò dunque la divisione del lavoro: sicché ogni individuo non produce che una o poche specie di ricchezza, e scambia tutto ciò che di questa avanza al suo personale consumo, o l'equivalente in moneta, con tutte le altre ricchezze, ch'ei non produce e delle quali ha bisogno.
Se non che, qual è la base sulla quale si opera codesto scambio, del quale nessun uomo può far senza ? I due elementi che hanno concorso alla produzione, cioè la natura e l'uomo, sono forse pareggiati, hanno forse ambidue un eguale diritto a retribuzione ? In altri termini, quando due iudividui fanno scambio dei rispettivi prodotti, e dicono: l'uno è equivalente all'altro, fanno entrare nel computo di siffatta equivalenza entrambi i suddetti elementi? Il possidente della terra domanda un tanto ili cor-respettivo delle sue fatiche, e un altro tanto ancora in compenso delle facoltà del suolo, dei gas, delle acque, insomma delle forze naturali che hanno contribuito alla produzione delle derrate campestri? Il manifatturiere, il navigante, il medico, lo scienziato, oltre alla mercede del loro lavoro attuale ed anteriore, richiedono forse una retribuzione per la forza di gravità, per l'elasticità del vapore d'acqua, per la fluidità del mare, per la potenza dei venti, per la facoltà naturale che ha la mente umana di comprendere certe verità scientifiche e di applicarle; cose tutte, delle quali costoro sonosi giovati nella produzione? Dobbiamo noi, insomma, nell'analisi che faremo della distribuzione della ricchezza, stabilire due porzioni soltanto (quella del lavorante e quella del capitalista), lasciando gratuita la parte di prodotto dovuta al concorso della natura ; oppure dobbiamo a queste due porzioni aggiungerne, come vogliono gli economisti, una terza spettante ai^ro-prietarii degli agenti naturali?
Bada bene, o lettore, che dalla risposta che farai a tali quesiti dipende la giustificazione ola condanna della proprietà, dipende la conclusione se al mondo sociale sopraintenda l'armonia e la giustizia, oppure la violenza e l'usurpazione. Imperciocché, se risultasse che nello scambio dei prodotti, nella distribuzione dei valori ciascun proprietario riceve qualche cosa di più del correspettivo esatto del lavoro e del capitale, questo di più (foss'anche minimo) darebbe ragione a Proudhon di affermare che la proprietà è il furto ; poiché se la natura pose nel mondo i materiali e le forze che compongono l'universo e che sono utili agli umani bisogni, noi fece già per Y utilità di uno o di pochi, ma per quella di tutti. — Ma se, all'incontro, si può rigorosamente dimostrare che questa usurpazione non solo non avviene, ma è impossibile che avvenga; che, in virtù della necessità stessa delle cose, l'uomo, volendolo, non potrebbe impadronirsi degli elementi comuni e gratuiti della natura; se gli uomini nel fare lo scambio e la distribuzione di 'le ricchezze non mettono e non possono mettere a oalcolo salvochè i ser-vizii reciprocamente renduti, cioè l'equivalenza deilavori, l'utilità intrinseca delle cose rimanendo forzosamente gratuita, se tutto ciò è vero e dimostrabile, la proprietà non ci apparisce più come frutto di fortunata violenza o d'arbitraria convenzione sociale, ma come una necessaria conseguenza del principio innegabile che, per produrre, Vuomo ha bisogno di occupare e di usu fruttare le forze e i materiali della natura; allora la distribuzione della ricchezza non ci si presenta più come fondata sul monopolio degli uni e sull'oppressione degli altri, ma bensì fondata su quest'altro irrefragabile principio, che: ogni uomo deve poter godere liberamente i frutti del suo lavoro, sia consumandoli direttamente, sia scambiandoli coi frutti del lavoro altrui, sulla base di loro equivalenza.
Ed è questo il punto più sostanziale di nostra teoria: trattasi, cioè, di provare che nel fare lo scambio dei loro prodotti e la distribuzione delle ricchezze gli uomini non possono fare che un'equazione fra i servigi che rendono e quelli che ricevono, nè altro pretendere fuorché la rimunerazione dei loro lavori attuali ed accumulati. — Ripigliamo l'esempio del libro, col quale abbiamo di sopra cercato schiarire l'idea del meccanismo giusta il quale la distribuzione si opera.
Abbiamo preso allora l'evoluzione economica dal punto in cui un possidente fondiario produce il lino o il cotone, che saranno poscia materie prime della carta. Ora supponiamo che questo proprietario, nell'atto di vendere quei prodotti, chiedesse al compratore un prezzo tale che, oltre al compensarlo dei lavori fatti e dei capitali spesi, comprendesse ancora un correspettivo delle forze vegetative del suolo, una rendita (come gli economisti dicono): che avverrebbe egli in questo caso? 11 compratore romperà il contratto, si volgerà ad altro produttore di cotone o di lino, ad altro proprietario, fino a tanto che trovi l'uomo assennato e giusto, che si contenti del prezzo vero, del prezzo giusto, di quel prezzo cioè che corrisponda al costo di produzione. E notisi ch'egli troverà indubitabilmente questo proprietario, giacché tutti i produttori di lino e cotone si faranno concorrenza per esitare i loro prodotti, e ciascuno di loro, per essere preferito a tutti gli altri, offrirà la sua merce ad un prezzo minore; — e questa loro gara non si fermerà, tranne a quel punto in cui il proprietario potrà, colla ricevuta mercede, reintegrarsi del lavoro fatto e delle spese occorsegli nella produzione.
Applichiamo lo stesso criterio a tutti i produttori che concorrono alla fabbricazione ed allo smercio del libro, e avremo sempre la stessa conclusione. 11 cartiere, il tipografo, il negoziante partecipano alla distribuzione in ragione dei lavori e dei capitali messi nella produzione, ma nessuno può domandare un obolo per gli agenti naturali dei quali si è servito, perchè la concorrenza degli altri produttori rivali glielo vieta. — Insomma vediamo dovunque un salario o un profitto : dove e perchè mai un terzo elemento, la rendita? La distribuzione si risolve in due soli elementi, non in tre, come gli economisti avevano prestabilito.
Or qual è la conclusione logica che da tutta questa discussione deriva? Eccola, essa è consolante, provvidenziale. - Quando i comunisti dicono
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Proudhon Vuomo
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