Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      DITEISMO - DITO
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      111 Roma sorgeva un tempio a Plutone sotto il nome di Z)i> nella decima regione (P. Vict., de Region.). Era a lui specialmente consacrato il mese di fèb-brajo, Vota deo Diti fcbrua mentis kabti.. Ennio Quirino Visconti (Museo Pio-Clementine, tom. in) parla di un vetusto simulacro di Giove Dite venerato con antichissima religione in Sinope, città del Ponto, e fatto trasportare dal primo dei Tolomei in Alessandria a motivo di un sogno ; il qual simulacro giunto in Egitto e riconosciuto per Plutone dal Cerbero e dal Serpente, ebbe il nome di Se-rapide o Sarapide, divinità indigena ed analoga al greco Plutone, col quale lo vollero confondere. D'allora in poi il Giove Dite dei Sinopiti fu venerato dal paganesimo sotto il nome di Serapide; così ebbe fama una divinità dell'Egitto oscura fino ai tempi di Alessandro Magno, e fu ritratta in figura, attributi, ed ornamenti affatto inusitati alla religione egiziana. Tali sono la barba, il calato e l'abito affato greco, cose tutte che non dovevano far dubitare i moderni dell'orgine pontica delle sue immagini (V. Platone).
      DITEISMO (ster. eccl.). — Sistema dei due prin-cipii professato dai Manichei, così detto dal greco due, e 0tóc, Dio, cioè due dii, o due esseri indipendenti, l'uno principio del bene, l'altro del male. Dicesi altiimenti dualismo (V. Dio, Dualismo e Manicheismo).
      DITERILE (chim.). V. Acetilene.
      DITICO (zool.). V. Ditisco.
      DITIWNA. V. Dittinole (imitol. ed archeol.).
      DITIONICO (chim.). — Nome dato agli acidi del solfo, che contengono 2 equivalenti di radicale. Tali l'acido iposolforoso e l'acido iposolforico.
      DITIRAMBO (lett.). — Nome di un inno in onore di Bacco, che cantavasi da un coro di cinquanta uomini o fanciulli mentre danzavano intorno all'altare del dio, particolarità che gli fece anche dare il nome di coro ciclico. Il soggetto originario del canto era la nascita di Bacco, come pare che il nome significasse (Plat., Legg., ni). La musica era frigia e accompagnavasi, in origine, col flauto (Arist., Polit., vili, 7, 9). 11 ditirambo è particolarmente interessante in quanto che Aristotile gli attribuisce l'origine della tragedia greca. « La tragedia e la commedia, dic'egli (Poetir, 14), originate in modo rozzo ed improvviso, la prima da chi dirigeva gl'inni ditirambici, l'altra dai canti fallici, si avanzarono a poco a poco verso la perfezione ». Questi direttori e °on l'intiero coro, come s'inferì erroneamente dalle parole di Aristotile, recitavano tetrametri trocaici, e sono da considerarsi come i precursori immediati degli attori (V. Dramma). Nell'appendice al trattato di Welker sulla Trilogia (Nachtrag zur Schrift iiber die JEschylische Trilogie, p. 228 e segg.) il lettore troverà un'erudita disquisizioue intorno al ditirambo, non esente però da alcuni gravi errori. Dopoché le proprietà principali del ditirambo passarono nella tragedia greca, esso divenne molto ampolloso, e nella lingua greca l'epiteto ditirambico fu sinonimo di turgido e iperbolico. Nel secolo di Pericle, i poeti ditirambici erano oggetto degli scherni degli Ateuiesi, ed Aristofane si diverte a parodiare il loro stile esagerato. 1 Latini ebberoil buon senso di non imitare dai Greci un genere di poesia, che almeno presso i medesimi poteva avere la scusa di un'origine nazionale, ma che sarebbe stato affatto dissonante dall'indole romana. Non furono così giudiziosi i moderni, che vollero pure arricchire la poesia italiana di questo guasto ornamento. Alcuni superarono non infelicemente la prova, e vediamo citati con onore nella storia letteraria come ditirambici il Chiabrera, il Baruf-faldi, e sovra tutti il Redi pel suo Bacco in Toscana. Certamente non si vogliono disconoscere i pregi dei loro componimenti, ma confessiamo che alla povertà dei pensieri, alla lambiccata stranezza delle immagini e alla noja dell'argomento non ci sembra far bastevole compenso la castigatezza della lingua e qualche più o meno vivace lepidezza.
      DITISCO (zool.). — Genere d'insetti coleotteri pen-tameri costituenti una numerosa tribù nella famiglia degli idrocantari, e in cui si annoverano i generi peelobius, eunectes, ht da ficus, lobister, leucophilus, ed altri molti dotati per lo più di forma ovale e piatta. Sono di varia mole, da pochi millimetri fino a 3 o 4 centimetri, hanno antenne filiformi, le quattro zampe posteriori più lunghe delle anteriori e cigliate, sono essenzialmente acquatici e conformati pel nuoto, possono vivere lungamente anche sotto acqua; all'avvicinarsi della notte escono dall'acqua e volano da uno ad altro stagno o da una ad altra palude. Si nutrono di altri insetti acquatici e di larve.
      DITMAEGA SETTENTRIONALE E MERIDIONALE (indanese Norder e Sùder Ditmarcìien) (geogr.). — Nome del distretto occidentale del ducato tedesco dell'Holstein, tra l'Eider e l'Elba.
      DITMARO (Dithmar) DI MERSEBORGO (biogr.). — Uno dei cronicisti del medio evo più importanti per l'Allemagna, e massime per la Bassa Sassonia e la Misnia. Nacque nel 976 del sangue dei conti di Walembeck ed entrò monaco nel monastero di Bergen. Nel 1009 fu nominato vescovo di Merseborgo, e adoperossi allora con ogni sforzo per riunire al vescovato ciò che l'usurpazione ne aveva staccato. Ma questi suoi sforzi, contrarii agl'interessi dei mar-gravii di Misnia, lo avvilupparono in lunghi litigi, nei quali ebbe più fastidii che buon successo. Prese una parte molto attiva nella guerra contro Bogislao. La sua cronaca (Chronicon), in otto libri di merito molto ineguale, contiene la storia dei re d'Alle-magna dall'anno 876 o piuttosto dal 908 sino al 1018, narrata bensì con amore di verità, ma con troppo facile credulità. Fu pubblicata per la prima volta nel 1580 da Reineccio, e ristampata nel 1807 da Wagner (Norimberga, in 4°). Ursino ne pubblicò, nel 1790, a Dresda una traduzione tedesca.
      DITO (anat.). V. Mano.
      DITO (archeol.). — I Romani avevano messe le dita sotto la protezione di Minerva. 11 Giano consacrato da Numa segnava per mezzo del collocamento delle dita 354 giorni, per denotare ch'ei presiedeva all'anno, che era allora lunaie.
      Quando un Romano moriva sul campo di battaglia o in paese straniero, prima di arderne, il cadavere, gli si tagliava un dito, che recavasi nel luogo nativo del defunto, e gli si facevano i funerali che si sarebbero fatti al cadavere intero. AL^ooQle r


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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume VII (parte 2)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1879 pagine 1048

   

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