Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      DIVORZIO
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      divorzio sono: 1° l'adulterio consumato; 2° l'adulterio presunto, per esempio, a cagione della fuga del marito con donna di mala vita ; 3® la diserzione maliziosa ; 4° l'attentato di uno dei conjugi contro la vita dell'altro; 5° l'ostinato rifiuto di adempiere ai doveri matrimoniali ; 6° un simile rifiuto di conformarsi su ciò alle leggi di natura; 7° se la donna per malizia si rende sterile e se ha l'abitudine di procurarsi l'aborto (Jus ecclesiasticum protestan-tium, 1. iv,tit. 17, § Ì3esegg.). Presso i protestanti il concistoro è il giudice della legittimità delle cause del divorzio. Dopo la pronunzia della sentenza la parte innocente può contrarre nuovo matrimonio; ma la colpevole deve, in pena del suo fallo, rimanere celibe.
      I paesi cattolici d'Europa seguirono sempre il diritto canonico romano che non ammette il divorzio assoluto; ma in Francia appena spuntò la rivoluzione che si volle agitare tale quistione, e venne lalegge del 20 settembre 1792 a stabilire il divorzio: 1° per mutuo consenso ; 2° per dissidio; 3° per cause determinabili, come la demenza, la follia ed il furore di uno dei conjugi, la condanna di uno di essi a pene afflittive ed infamanti, ecc. Ma gli abusi che si fecero di tal diritto e gli scandali che per esso ebbero luogo determinarono il Corpo legislativo, incaricato della compilazione del Codice civile, a migliorare la legge del 1792, diminuendo le cause del divorzio ed aumentando le formalità per renderne più rari i casi, come si raccoglie dagli articoli 229-301 del (letto Codice. Tuttavia non sembrando al Governo della Ristaurazione conveniente a paese cattolico come la Francia il mantenere il divorzio, venne la !egge dell'8 maggio 1816 a cancellarlo dal corpo della legislazione francese. Avvenuta poi la rivoluzione del 1830, fu parecchie volte discussa ed alcune volte approvata dalla Camera dei deputati la proposizione di ristabilire il divorzio; ma la Camera dei Pari la rigettò sempre.
      Così si può dire che il divorzio assoluto non ha luogo presso tutti i cattolici d'Europa, salvo in alcuni paesi dove è solamente tollerato. Inoltre se parecchi re e principi fecero divorzio, ciò fu sotto colore di ripudio, scioglimento, nullità di matrimonio, per fini politici, benché in alcuni casi il facessero anche per secondare le proprie passioni. Nel 535 Teodeberto re di Metz; nel 564 Chilperico re di Soissons ; nel 565 Gontrano re di Borgogna e di Orléans; verso l'epoca medesima Cariberto re di Parigi ; nel 629 Dagoberto I ; nel 668 Pipino il Vecchio duca d'Austrasia; nel 770 e nel 771 Carlomagno; nel 1193 e nel 1201 Filippo Augusto; nel 1499 Luigi XII; nel 1534 Arrigo Vili; nel 1599 Enrico IV; nel 1809 Napoleone Buonaparte, rimandarono le loro legittime mogli perisposarne altre ; però quasi sempre col consenso di autorità ecclesiastiche che giudicarono potersi fare tali eccezioni riguardo a persone collocate in grado si alto. Tuttavia convien dire che l'autorità papale si è sempre opposta per quanto ha potuto anche ai divorzii dei principi, e sono principalmente noti gli sforzi fatti dalla Curia romana contro quelli di Arrigo VIII d'Inghilterra e di Napoleone.
      Adunque, secondo il diritto canonico cattolico, non ò permesso per qualsiasi motivo il divorzioassoluto: e però la parola divortium che spesso s'incontra nei sacri canoni devesi intendere per la semplice separazione dei conjugi dal talamo ed abitazione (a thoro et habitatione), rimanendo sempre intatto il vincolo matrimoniale, così che a niuno dei conjugi separati è permesso, finché l'altro è in vita, di contrarre nuovo matrimonio (can. Fieri; can. Placet, 34, q. 7). Quindi, giusta un tale diritto, il matrimonio non può essere disciolto se non per via di nullità, nel qual caso non si scioglie già un matrimonio validamente contratto, ma si dichiara soltanto che non ebbe giammai luogo quel tale matrimonio, o che non essendo stato validamente contratto, non fu mai matrimonio.
      Può pertanto la Chiesa sciogliere un matrimonio rato solamente e non consumato, separando non solo i conjugati quanto al talamo ed all'abitazione, ma anche quanto al vincolo, come avviene quando la Chiesa concede loro il termine di due mesi, dopo di averlo contratto, a consumarlo, per deliberare l'elezione e passaggio allo stato migliore di vita; poiché se uno dei due conjugi passa in questo frattempo in qualche religione e professa i tre voti di povertà, castità ed obbedienza, il conjnge rimasto al secolo può contrarre liberamente altre nozze.
      Si può sciogliere il vincolo anche quando il pontefice dispensa sopra il matrimonio rato solamente e non consumato, avendone egli autorità quando v'ha qualche grave causa legittima, cioè: 1° per la notabile disparità tra le persone che contrassero tale matrimonio ; 2° per la lebbra, morbo gallico od altro male contagioso di uno dei conjugati ; 3° per timore di qualche grave scandalo, risse ed odii di famiglia irreconciliabili, e tanto più se uno dei conjugati dichiarasse di non avere avuto intenzione di contrarre veramente tale matrimonio, e non siasi lasciato persuadere a consumarlo ; 4° se il marito fosse stato promosso al vescovato per necessità del bene comune, quando la moglie non condiscendesse ad entrare o professare in religione e vivere continente; 5° se l'ermafrodito che contrasse matrimonio come femmina, avanti di consumarlo prevalesse nel sesso virile; 6° se alcuno dopo il matrimonio rato solamente con una, consumasse il matrimonio con un'altra; poiché, quantunque il secondo sia nullo in forza del primo rato, il pontefice può dispensare per evitare qualche grave scandalo e permettere che abbia luogo il secondo ; 7° quando si trattasse di sedare risse e tumulti, pel bene comune e conservazione della quiete pubblica.
      Se dunque il matrimonio rato insieme e consumato è indissolubile, quanto al vincolo sino alla morte di uno dei conjugi, rimane a vedere per quali cause la Chiesa conceda il divorzio quanto al letto ed all'abitazione. Ciò avviene : 1° per le insidie che venissero tese da uno dei consorti alla vita dell'altro, per troppa crudeltà del marito, che mettesse la moglie in continuo pericolo, o le negasse gli alimenti, o dilapidasse le sostanze; 2° per adulterio del marito o della moglie ; il che s'intende anche per la sodomia e la bestialità. Si eccettuano però alcuni casi nei quali non si può pretendere divorzio neppure per motivo d'adulterio, come quando la moglie fosse stata violata per forza; se il marito avesse dato causa all'adulterio della moglie ; se tutti e duet^iOOQLe


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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume VII (parte 2)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1879 pagine 1048

   

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