Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
912 DOMMATICA — DOMMATICIscolastica, non meno che dalla morale e dalla biblica, ha una cattedra da sò in parecchie Università cattoliche.
DOMMATICA {(eoi). — Complesso di tutti gli articoli di fede stabiliti in una Chiesa ed esposti sistematicamente.
DOMMATICI (Dogmatici, in greco ^o^olxixoì) (stor. della med.). — La più vecchia delle scuole mediche presso gli antichi, da non confondersi minimamente colla scuola filosofica dello stesso nome, rammentata da Diogene Laerzio (De vit. philosoph., Prooem. 11). E gli uni e gli altri ripetevano la loro denominazione dalla voce greca 8óyjjl« (editto, decreto, sentenza, opinione), per indicare che aderivano tenacemente a quelle dottrine qualunque da essi accettate per vere, imponendole all'uopo anche agli altri senza che facesse mestieri di sottilmente discutere. I dogmatici, di cui qui favelliamo, avevano deciso di attenersi alle massime ed agli aforismi d'Ippocrate, adottandoli con cicca credenza, e perciò Ippocratici pur si appellavano. Fondatori di cotesta scuola o setta furono Tessalo, figlio, e Polibo, genero d'Ippocrate, circa il 400 av. Cristo, i quali godevano di grande rinomanza ed ebbero il predominio nelle mediche discipline, fino a tanto che non si fu stabilita in Alessandria la scuola filosofica degli Empi rlcl (V.). Sorti costoro, i cultori della medicina si divisero tosto in due differenti schiere, che poscia militarono per varii secoli sotto le insegne o degli uni o degli altri. Le ragioni delle due scuole furono raccolte ed esposte da Celso colla massima chiarezza (De Medie., Praefat. in lib. i), dalle quali risulta che i dogmatici reputavano necessario l'aver contezza delle cause occulte dei morbi come anche delle più evidenti, ed il conoscere per qual modo succedano nel corpo umano le azioni naturali e le varie funzioni; il che suppone necessariamente la cognizione delle parti interne. Davano il nome di cause occulte a quelle che concernono gli elementi o principii di cui componesi il nostro corpo ed all'occasione della buona o cattiva salute. Gli è impossibile, dicevano, il conoscere il metodo della cura di una malattia se non si eonosea donde derivi. Ed infatti non vi è alcun dubbio che si debba trattarla in un modo, se si ammette che i morbi nascono in generale dall'eccesso o difetto di uno dei quattro elementi; in un altro, se ogni malattia ha la sua origine negli umori del corpo, come la pensava Erofilo; ed in un altro ancora, se devesi attribuire alla respirazione, secondo l'idea d'Ippocrate.
Diverso, soggiungevano essi, dovrà essere il metodo di cura, se il sangue desta l'infiammazione nel passaggio che fa dalle vene, le quali si supporgono contenerlo, a quei vasi che devono contenere soltanto l'aria, e se cotesta infiammazione pioduce il moto straordinario del sangue che notasi nella febbre, secondo l'opinione eli Eras:st: ato. Diverso infine se sviluppasi la malattia col mezzo di corpuscoli che chiudono l'invisibile passaggio e ingombrano la via, come avvisava Asclepiade. Ciò posto, ne segue necessariamente che di tutti i medici avrà il miglior successo nelle cure colui che avrà conosciuto meglio degli altri la prima causa e l'origine del morbo. Nè i dogmatici negavano per avventura la necessità degli sperimenti, ma asserivano che .
questi non si potevano eseguire, e che non erano stati eseguiti giammai, tranne a forza di ragionamenti. Aggiungevano inoltre, essere probabile che i primi uomini, o quelli almeno che furono i primi ad applicarsi alla medicina, non abbiano raccomandato ai loro pazienti ciò che la prima volta cadde ad essi in pensiero, ma che deliberarono intorno al rimedio, e che l'esperienza e l'uso li fece poscia accorti d'aver ragionato esattamente, o felicemente congetturato. Poco importava, continuavano a dire, che venisse dichiarato dalle genti come il maggior numero dei rimedii sia stato il soggetto dell'esperienza fin da principio, purché confessassero che tali sperimenti erano il risultato del ragionamento di coloro che provarono i rimedii. Ripetevano poi, che veggonsi scoppiare sovente nuove specie di morbi, per cui nè l'esperienza, nè la consuetudine avevano inventata ancora una cura; e che quindi era necessario l'osservare donde provenissero e per qual guisa dapprima cominciassero, dappoiché altrimenti nessuno può dire perchè in simile emergenza faccia egli uso piuttosto di uno che di un altro rimedio; e queste, secondo i dogmatici, erano le ragioni per cui un medico doveva esaminare e scoprire le occulte cause dei morbi.
Riguardo poi alle cause evidenti, tali che ciascuno può scoprirle, ed in cui non devesi far altro che riconoscere se il male deriva dal caldo o dal freddo, dall'aver mangiato troppo o troppo poco, ecc., dicevano ch'era necessario prendere informazione di tutto ciò e farvi le debite riflessioni, ma non arre-starvisi cessando di progredire. Dicevano inoltre, rispetto alle azioni naturali, ch'era necessario il conoscere donde e per qual modo ricevessimo l'aria nei polmoni, e per qual ragione poscia la emettessimo col respiio ; perchè si riceva il cibo nel corpo, come vi si prepari per entro e si distribuisca poi per ogni sua parte; perchè le arterie sieno soggette alla pulsazione; quale sia la causa del sonno, della veglia, ecc.; e sostenevano che nessuno sarebbe stato atto a curare le malattie riferibili a coteste varie funzioni, se non fosse capace di spiegare tutti questi fenomeni. Eccone un esempio tratto dal processo della digestione: il cibo, dicevano costoro, o si macina nello stomaco, come opinava Erasistrato; o vi s'imputridisce, secondo Pli-stonico, discepolo di Prossagora ; o vi si cuoce per un calore particolare, come insegnava Ippocrate; oppure, se si presti fede ad Asclepiade, tutte queste opinioni sono egualmente erronee, e nulla vi si cuoce, ma la materia alimentare viene invece distribuita per il corpo in quello stato medesimo di crudezza in cui fu presa per bocca. Per quanto differiscano tra loro cotesti maestri della scienza, tutti però vanno d'accordo nell'asserire che la specie di nutrimento adatto ad un ammalato dovrà variare a seconda che l'una o l'altra delle accennate opinioni si ritenga per vera. Imperocché se il cibo viene macinato in tanti pezzi, dobbiamo scerre quello ch> più facile a macinarsi ; se imputridisce, dobbiamo destinare quello che si putrefa più rapidamente: se viene cotto dal calore, quello ch'è più atto a destarlo ; ma se non vi si cuoce, non fa mestieri sceme alcuna delle or mentovate specie, ma dobbiamo assegnare piuttosto quel cibo che rimane quale fuLjOOQle
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