Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
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fratello di quel Lorenzo che ne duole trovare, nel 1432, far parte di quella giunta che dannò a morte il prode conte di Carmagnola.
Pietro, dopo essere stato governatore di Perugia, fu vescovo di Candia nel 1420, e successivamente di Venezia nel 1426, e di Padova nel 1428. Perì di pestilenza. Fra gli scritti lasciati è notevole una Difesa di Alessandro Afrodiseo contro Averroe, un trattato De Argumentatione ed altri minori.
Andrea, figliuolo di Bartolomeo, sopra menzionato. Dopo essere stato per servizio della Repubblica, nel 1417, in Istria, nel 1424 a Trebisonda, e nel 1430 rettore a Salonicco, fu mediatore della pace fra papa Eugenio IV e Sigismondo imperatore, il quale creollo cavaliere e ne accrebbe, come abbiam detto, i fregi dello stemma gentilizio. Nel Concilio di Basilea aggiovò la causa del pontefice, e molte altre commessioni ed ambascerie compì a gran lode : perchè reca sorpresa che essendo, nel 1446, duca in Candia, si formasse in Venezia processo contro di lui, chi dice per mala amministrazione del danaro pubblico, 6endo in Padova podestà ; chi, per essere stato corrotto coll'oro dallo Sforza a sostenerne le ragioni. Messo in prigione nel 1447, e collato, confessò vera o falsa la colpa: multato, sbandeggiato, trovò liete accoglienze nel pontefice, finché dimorò in Roma. Sembra che riacquistasse in patria la grazia : quivi morì, ma ignorasi l'anno di sua morte.
Ermolao, che sostenne gravissimi uffizii in prò della patria che illustrò eli sue geste. Ambasciatore nel 1435, dipoi successivamente capitano del golfo, reggente dell'esercito, provveditore delle guerre di Lombardia, avogadore del Comune e capo dei Dieci, fu sventura che, ucciso proditoriamente, nel 1450, da un Niccolò Erizzo (come in appresso fu per costui confessione chiarito), ne venisse incolpato Jacopo Fo8cari, figlio del doge, per lo che sofferse egli quella serie di mali, che lo traeva innocente, anzi tempo, al sepolcro, lontano dalla patria e da' suoi.
Lodovico, vescovo di Belluno nel 1462, traslatato dipoi alla sede di Bergamo. Lasciava un'opera sopra il Maestro delle sentenze in quattro libri, dedicata a Paolo II, ed un volume intitolato Variarmi lectionum.
Girolamo, nato verso il 1454, apprese greche e latine lettere, ed applicò agli studii con gran pre>-fitto. Occupato in tutta la vita in vantaggio dello Stato, mori in Roma nel 1509. Esistono due sue versioni latine dal greco ; due orazioni latine ; un trattato De terresmotu insula Cretce (1508); poesie latine ed altre cose minori.
Tommaso, patriarca veneto. Era domenicano, e mostrò tale eloquenza nel pergamo e profondità nelle discipline teologiche, e tali virtù nel viver suo, che, vinta a grande stento la sua modestia, fu il 18 settembre 1492 eletto patriarca di Venezia. Governò dodici anni la Chiesa, lasciando molte opere manoscritte, pubblicato avendo soltanto, secondo nota il Cappellari, un'opera intitolata Sermones de tempore, de sanctis et super quadragesimam.
Francesco, 82° doge di Venezia. Figliolo di Alvise, nacque nel 1468. Eduoato di buon'ora alla vita pubblica, sostenne molte e cospicue magistrature della Repubblica, finché nel 1545 ottenne il principatodi Venezia. La pace di cui godette lo Stato durante la sua amministrazione gli lasciò campo ad abbellire la città di molte e cospicue fabbriche. Il palazzo elucale fu da lui condotto a compimento ; incominciò la Biblioteca, terminò la Zecca. Institul, o ordinò il magistrato eie' tre savii contro l'eresia ; creò i maestri dei sestieri affinchè la gioventù apparasse umane lettere. Morì nel 1553, lasciando bella fama di uomo eloquentissimo, amante della patria, lontano da ogni ambizione. La tomba che stava nella chiesa dei Servi fu trasportata a Maren presso Co-negliano, quando, nel 1812, quella magnifica chiesa crollò sotto il martello dei demolitori. Nella sala del Collegio del palazzo ducale ammirasi lo Sposalizio di santa Caterina del Tintoretto, in cui il doge genuflesso è il nostro Francesco. Ebbe a successore nella ducea Marc'Antonio Trevisan.
Giovanni, senatore eloquentissimo, soprannominato dalle arringhe, giacché perorava in Senato con sì calzante discorso da vincere qualunque partito proponesse. Ei pianse la morte dello zio doge con eloquente orazione, e compose più cose letterarie, massime epigrammi ed iscrizioni. Sostenne gelosi carichi nella Repubblica, e nel 1595 fu proposto a doge, comecché ottenesse il principato Marin Grimani.
Leonardo, 93° doge. Nacque nel 1536, ed applicatosi di buon'ora agli studii in Padova ed in Bologna, fu ammesso savio agli ordini, essendo nel 25° anno. Successivamente provveditore del Comune, ambasciatore a Filippo li, senatore, savio di Terraferma, savio alla Scrittura, e nel 1576, valicato appena l'anno quarantesimo di età, savio del Consiglio, carica che concedevasi a coloro che alla cognizione delle cose accoppiavano matura età, e che Leonardo disimpegnò, a grande onore, ventuna volta. Sostenne dipoi varie ambascerie a principi e ai pontefici Gregorio XIII, Sisto V, Urbano VII, Gregorio XJV, Innocenzo IX e Clemente Vili; fu riformatore dello studio di Padova nel 1583, e cinque anni appresso uno dei quattro provveditori generali in Terraferma, e dopo molti e varii servigi resi alla Repubblica, morto il doge Marin Grimani, con universale applauso veniva eletto alla sede ducale nel 1606. Sotto di lui ebber luogo le controversie con Paolo V intorno alle immunità ecclesiastiche, nelle quali ebbe cotanta parte Fri Paolo Sarpi (V.). Morì, ammirato dall'Europa, il 16 luglio 1612, ed in San Giorgio Maggiore vedesi il suo monumento sepolcrale, sulla porta principale,' e nel palazzo ducale, nella sala detta della bussola del Consiglio dei Dicci, il doge Donà presentato da san Marco a M. V., dipinto di Marco Vecellio.
Niccolò, suo fratello, nel 1570, sendo capitano delle navi da guerra contro ai Turchi, diede luminose prove di coraggio quando con la sola sua galera passò fra mezzo dell'armata nemica, e recò soccorso a Famagosta. Uomo di nobili spiriti e di non volgare dottrina, fu successivamente podestà eli Vicenza, luogotenente in Udine, provveelitor generale in Candia ed in Friuli, generale in Dalmazia contro gli (Jscocchi, capo dei Dieci, riformatore dello studio di Padova. Mori pieno di meriti nel 1614.
Niccolò, 96° doge. Esercitò le più cospicue magistrature della sua patria, che soccorse grandemente durante la carestia che l'afflisse negli anni 1613 e
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