Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
DRAGOMANNO - DRAG ONCI NO GIO. BATTISTAOltrecchè all'inalzamento nell'aria, adoperossi altresì il drago volante a produrre movimenti orizzontali usandolo a guisa di vela, col vantaggio di potersi andare a cercare il vento più forte o più favorevole ad altezze diverse. Così nel 1826 videsi fra Londra e Bristol correre una leggera vettura montata da tre persone e trascinata da due draghi volanti, il maggiore dei quali ei a largo 6m,5 di velo coperto di carta colorata, e sostenevasi all'altezza di 60 metri da terra. 11 secondo, che serviva di direttore, era distante 60 metri dal primo, il quale gli si poteva far avvicinare tirando una fune, quando aveva a superare alberi od altri ostacoli nei quali incontravasi. Un tamburo posto sotto la vettura e sul quale si avvolgeva la fune dava modo di allungarla od accorciarla, e con un vento un po' forte la vettura percorse fino a diciotto o venti miglia inglesi (32 chilometri) all'ora. Questo sperimento si ripetè # molti anni dopo sulle strade ferrate con successo ancora maggiore, come era ben naturale, ottenendosi grande velocità di trasporti senza la menoma spesa. Resterebbe a vedere se potesse applicarsi alla navigazione, cui sembra che in alcuni casi dovesse apportare grande vantaggio, ma non risulta che ciò siasi fatto finora.
Un apparato assai semplice per questo uso, da potersi montare e smontare in un minuto, venne immaginato nel 1854 da A. Preveraud di Parigi. Non teneva questo che lo spazio di un parapioggia chiuso, 11011 pesava più di un mezzo chilogramma, poteva agire anche con yggto non molto forte, ed aveva prezzo assai modico. Inoltre, pel caso che il vento non soffiasse direttamente contro terra, a mezzo di un galleggiante, inventato pure dal signor Preveraud, si poteva dirigere il drago volante obliquamente al vento, sotto un angolo perfino di 40 gradi. Un certificato del Ministero di marina, dietro sperimenti fattisi a Cherbourg per suo ordine nel gennajo 1855, attesta che il sistema era tale da potersi benissimo utilizzare per lo scopo al quale si proponeva.
DRAGOMANNO (diplom.). — Denominazione degli interpreti addetti ai consolati ed alle ambasciate europee nel Levante, derivata per corruzione dal turco trulceman, o veramente dall'arabo targiman, voci che hanno per radice un verbo che significa interpretare. A Costantinopoli sono il principale e per lo più il solo mezzo di comunicazione tra gli ambasciatori cristiani che non conoscono il turco e la Porta Ottomana. Sono nativi del paese e per lo più discendenti da antichi coloni genovesi o veneziani. Spesse volte gl'interessi e le simpatie locali li hanno indotti a violare il dover loro, e quantunque sianvi state eccezioni onorevoli, si può dire che in generale i dragomanni come corpo non si distinguono per onoratezza ed integrità. La Francia, fin dal tempo di Luigi XIV, vide la convenienza di adoperare sudditi nativi in questa qualità, e institui un piccol corpo di giovani chiamati jcunes de ìangues, che furono mandati nel paese ad impararvi la lingua e studiarne le leggi e i costumi. Ma in questo buon disegno non si è perseverato abbastanza. 1 dragomanni e le loro famiglie godono della protezione delle nazioni che servono, e vanno esenti dalle leggi turche.
Gli antichi scrittori italiani, come il Villani, in luogo di dragomanno dicono turcimanno, voce che, come la francese truchement altre volte adoperata, è meno lontana dall'originale.
DRAGONATE (stor. viod.). — Con questo nome vennero designate in Francia le persecuzioni comandate sul cadere dell'anno 1684 da Luigi XIV contro i protestanti del suo regno. Queste persecuzioni ebbero luogo innauzi e dopo la revoca dell'editto di Nantes avvenuta nel 1685; e prima ancora che il re medesimo avesse dato quegli ordini inumani, coloro che in suo nomo reggevano le varie Provincie della Francia, massime nel mezzodì di essa, avevano già, con un zelo da fanatici, fatto scorrere il sangue e le lacrime dei calvinisti. La sola città di Parigi andò esente da tali eccessi, perchè, al dire di Voltaire, c il re avrebbe udito le grida troppo da vicino ». In breve le Cevenne diventarono campo ad orribili carnificine e saccheggi; perchè se i cattolici ricorrevano ai tormenti e alle uccisioni contro i protestanti,questi dal canto loro con grande perseveranza e pari furore resistevano, e opponevano ferro e fuoco ai loro nemici. Tre dei più distinti marescialli, Moutrevel, ViUars e Berwich, furono successivamente impiegati in quella lotta religiosa, la quale durò per qualche tempo ancora sotto il reguo di Luigi XV, e fece perdere alla Frauda tanti nobili e coraggiosi cittadini, tanti capitali e tanta industria che passarono in paese straniero (V. Nantes [revoca dell'editto di]).
DRAGONCELLO (eool.). — Genere di vermi acquatici assai analoghi ad alcuni entozoari, e sovrattutto alla filaria, colla quale molti naturalisti l'hanno confuso. Presentano l'aspetto di sottili cordoncini bianchi, lunghi dai 15 ai 20 centimetri, e talvolta non sorpassano la grossezza dei capelli, per lo che furono anche chiamati crini di Venere. Sonocomuui nelle acque limpide dei ruscelli ; se ne contano parecchie specie; la più conosciuta è quella che i naturalisti chiamano gordius aquaticus, ovvero g. argilaceus. Fu dato eziandio il nome di dragoncello alla filaria medinese, verme che è comunissimo nei paesi caldi dell'Antico Continente, e di là forse fu trasferito in America, il quale giunge alla lunghezza perfin di quasi tre metri. Esso si fa strada per la cute delle gambe nel sottoposto tessuto adiposo, cagiona dolori acutissimi, infiammazione locale e talvolta anche la gangrena (V. Vermi).
DRAG0NCIN0 Gio. Battista (biogr.). — Poeta italiano, nativo di Fano, visse al principio del secolo xvi, e compose un poema cavalleresco intitolato Innamoramento di Guidon Selvaggio, che fu figliuolo di Rinaldo da Montalbano, ecc. (Milano 1516, edizione rarissima, ristampata più volte), in sette canti in ottave. In un altro poema in tredici canti, intitolato Mar fisa Bie earra (Venezia 1531, rarissimo anch'esso e ristampato più volte), Dragoncino cantò le gesta e le avventure di un'eroina appartenente anch'ella alla Corte di Carlo Magno, e cui l'Aretino aveva tolto a celebrare in un'epopea, della quale non compose che il principio. Si conoscono clue altre operette in versi dello stesso autore sotto il titolo di Amoroso ardore e Vita del soliate» role Buracchio figliuolo di Margatc (1536). Di questui-
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