Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
DUCENARlf — DUCEZIOseguisse ad accrescere quella tradizione artistica che Guido aveva lasciato col suo maraviglioso quadro del 1221. L'arte non si spense in Siena, occorrendo nomi di pittori, nel secolo xin, prima di Duccio: ma non di alcuno che a lui possa pareggiarsi ; attalchè sembra averla egli spinta a notevole grado di miglioramento più per proprio ingegno, che per fatto di ammaestramenti od esempi. Vero è che nelle sue pitture si attenne alquanto alla maniera bizantina, ma la migliorò d'assai, e le diede più forma e più natura italiana. I pittori élie vennero dopo lui, tali che Segna, Ugolino, i due Lorenzetti ed il Martini, tutti probabilmente suoi scolari, vi aggiunsero qualche cosa, massime nel colorito e nell'aria delle teste : ma non sì che non conse:vassero della maniera di Duccio tanto eia mostrare qlie la scuola sanese non risenti nul-lamente gl'influssi della Giottesca.
Delle mólte opere in pittura eseguite dal nostro artista in Pisa, in Lucca, in Pistoja, in Firenze ed in Siena nulla dirèmo," poiché o tutte o quasi tutte perite ; e le due tavole che il Tolomei (Giiida di Pistoja)indicò esistenti TieH'Ospectofe del Ceppo di essa città, e che egli attribuisce al sanese, non sólo non sono di Duccio, ma neppure della scuola sanese.
L'opera tuttora esistente (che il Vasari credette perduta), e sulla quale riposa la fama del nostro pittore, è il gran quadro fatto pel duomo, di cui diamo i seguenti cenni. Fu allogato a Duccio il 9 ottobre 1308, e da lui finito nel 1311. Parve agli uomini del suo tempo, e pare anche a noi, opera di tanta maraviglia che dalla casa dell'artefice, posta in contrada del Lfiterino, fu, il 9 giugno dell'anno stesso, portata in duomo con grandissima solennità. Costò, secondo gli annali inediti di Pic-colomini (poi Pio III), 2000 fiorini d'oro, e secondo altre memorie, 3000; non tanto pel pagamento del pittore, quanto per l'oro e l'oltremare che vi sono profusi. Allorché l'aitar maggiore, che era sotto la cupola, fu nel 1506 collocato dove oggi si vede, la tavola fu tolta e posta in una stanza della canonica, dove stette fintantoché, nel secolo seguente, dopo averle con cattivo consiglio tolto ogni ornamento, e guasta la forma primitiva, segata in due parti, il dinanzi o la parte anteriore fu appesa alla parete laterale dell'altare del Sacramento. Rappresenta la Madonna circondata da varii santi ed angeli (e non la incoronazione, come per errore scrisse il Gbiberti e ripetè il Vasari), e dall'altro lato la Vita di Gesù Cristo, espressa in ventisette maravigliosissime storie. Le figure delle piramidi e le storie della predella si veggono in sagrestia. Sotto il dinanzi della tavola Duccio scrisse queste affettuose parole: Mater sancta Dei — sis causa senis requiei sis Ducio vita — te quia dipin-xit ita.
Altro non rimane 'di certo, oltre la suddescritta tavola, di mano del nostro artefice, essendo, come abbiamo sopra cennato, ogni cosa perita. Noteremo in ultimo che di un'opera, sebbene non firmata, da attribuirsi però certamente a Duccio, erano possessori i figli di Giovanni Metzger in Firenze, il quale avevala comprata in Siena molti anni sono. Essa, nel 1845, andò venduta per grossa sommaal principe Alberto d'Inghilterra; è un trittico dell'altezza di un metro circa. Nel mezzo è Cristo in croce colla Vergine e san Giovanni ai lati, in alto due angeli piangenti; negli sportelli storie della vita della Madonna. Opera bellissima, di tanta finitezza e conservazione-, che maggiore non può desiderarsi. La provenienza, e più la maniera così caratteristica, non ci fanno stare in forse nell'at* tribuirla a Duccio.
Il Vasari conchiude la sua vita colle seguenti parole : «r Furono le opere sue intorno agli anni di nostra salute 1350 ». Ma erra. Se nacque nel 1260, come le memorie sembrano provare, corner-rebbe far pervenire l'artefice sino all'età di 90 anni, cosa improbabile nel caso nostro, sendochè fino dal 1339 ci abbandona ogni memoria dell'esser suo. Talché non andremmo lungi dal vero se lo dicessimo, col Della Valle, morto intorno al 1340. Ebbe due figliuoli di nome Galgano ed Ambrogio, il primo dei quali seguì l'arte paterna.
Vedi ì Rumohr, Italienische Forschungen — Della Valle, Lettere sanesi (ir, 75 e 76) — Lanzi, Storia pittorica — Rosini, Storia della pittura italiana — Vasari, Vite nell'edizione di Le Monnier, con note e correzioni per cura di una società di amatori di arti belle.
DUCENARII (archeol.). — Fra i procuratori degli imperatori nelle provincie (procuratores Cvesurts) ve n'ebbero di quelli che portarono il nome di ducenarii perchè ricevevano un salario di 200 sesterni, equivalenti a un dipresso a 41,000 lire. Dione Cassio (lui, 15) dice che questi procuratori furono instituiti da Augusto e che traevano il loro titolo dall'ammontare dello stipendio corrispondente alla loro dignità. E però leggesi pure di sexoge-narii e di centenarii, i quali ricevevano 60 e 100 6esterzii. Claudio concedette ai procuratori ducenarii le insegne consolari.
Altri credono che ducenarii si chiamassero quegli uffiziali, i quali erano preposti a riscuotere certo tributo del dugentesimo sulle proprietà. Nelle iscrizioni di Palmira questa parola, in greco £ouxsv*ptoc, occorre assai frequentemente.
Parlasi anche di ducenarii come di giudici dì cause minori (Svet., Aug., 44), ma forse erano gli stessi procuratori di Cesare, i quali godevano di un potere giudiziario nelle cose che riguardavano la finanza. Finalmente chiamaronsi ducenarii certi uffiziali che comandavano a due centurie, i quali in tempi anteriori eran detti primi astati.
DDCEZI0 (biogr. e stor. ant.). — Capo dei Sice-liani o Sicelii, tribù native nell'interno della Sicilia, è chiamato re dei Siceliani da Diodoro (xi, 78), e dicesi fosse d'illustre lignaggio. Dopo la cacciata della famiglia di Gelone da Siracusa (466 av. Cristo), venne fatto a Ducezio unire tutti i Siciliani dell'interno in una nazione, e per dar loro un centro comune fondò la città di Palice nel'a pianura sotto Meneno (Diod., xi, 88). Egli aveva previamente mosso guerra ai Catanesi, e cacciato da questa città i nuovi coloni mandativi da Jerone, i quali pigliarono perciò possesso d'Inessa, cambiando il suo nome in Etna ; ma Ducezio sottomise di poi anche questa città (Diod., xi, 76, 91). L'assalto d'un luoghicciuolo nel territorio d'AgiigeaU
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