Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      RECannerò, di sciogliere quella dei deputati, di nominare i ministri, e di far grazia; l'altra amministrativa, come la nomina agl'impieghi; per gli atti dell'una come per quelli dell'altra specie è necessaria la firma dei ministri, ma con questa diversità, che pei primi la firma non fa se non legalizzarli. pei secondi porta inoltre la responsabilità del firmante. E l'Hello pure divideva in tre parti le funzioni del re, secondo si riferivano al capo dello Stato, o facevan parte della prerogativa, o piuttosto del potere esecutivo. Come capo dello Stato, il re rappresenta il priucipio monarchico, occupa il trono ereditariamente, e lo rende inaccessibile alle ambizioni private: vantaggio che solo basterebbe a far lodare simile istituzione. Colla prerogativa il re è investito d'una specie d'auti-parte uella divisione del potere: egli è incaricato dell'esecuzione di tutti quegli affari che richiedono uuità, prontezza, opportunità, secreto, e che non possono essere iuiziati con una legge, come il comando degli eserciti, le dichiarazioni di guerra, i trattati di pace, d'alleauza e di commercio. Infine col potere esecutivo spetta al re di compiere quegli atti che vengono in seguito a una legge. Ma in definitiva, siccome la differenza fra le due parti del potere assegnato al re sta nell'atto cronologico rispetto alla legge, alla quale anche gli atti di prerogativa devono riferirsi per essere ratificati, così, conchiude l'Hello, non è necessario considerare separatamente codeste due parti, e si possono comprendere sotto il nome generico di potere esecutivo.
      È nota la divisione che il Constant, sulle traccio del Clermont-Tonuerre, trova nel potere monarchico: cioè il potere esecutivo, investito, com'ei dice, di prerogative positive, ed il potere reale, sostenuto da memorie e tradizioni religiose. È còm-pito principale di questo togliere gli attriti sorgenti tra i restauti poteri dello Stato, allorché qualcuno tra essi esca dalla propria sfera: potere neutro, è per iuteresse imparziale, e per natura influente, perchè riposto nella persona di un re già circondato di tradizioni e di memorie, e sostenuto dal prestigio che le cose antiche ed elevate esercitano sulla pubblica opinione. Su questa distinzione il Constant tonda tutta la maccliiua del governo rappresentativo, in essa trova la soluzione del tanto difficile problema della responsabilità miuisteriale. Perciò ne riparleremo a suo luogo.
      Appare manifesto da queste controversie come la vera difficoltà consista nel combinare la dignità della persoua regia collo sviluppo progressivo e razionale della libertà, ed ancora colla irresponsabilità della persona stessa. La profonda mente del R magnesi sviscerando il problema, trovava che la formola fondameutale di esso, e nello stesso tempo lo scopo della garanzia costituzionale erano quelli di impedire che la volontà dell'uomo corrompa la volontà del monarca; e fare invece che questa prevalga su quella, salva la prerogativa regale. Quindi ! egli architettava tutto quel sistema di pesi e contrappesi, che faceva assomigliare la macchina dello Stato ad un orologio, esatto quando le sue parti lavorano bene, guasto ad ogni piccolo disordine in una di esse. Devesi conservare a base, egli pensa, l'autorità regia e porle d'accanto, non in via cTat-
      tribuzione, ma in via d'eccezione, la garanzia positiva costituzionale; il che però ha luogo quauto alla sola persona del monarca a cui fu affidato il pieno mandato di governare.
      Con le stesse vedute il Balbo considera l'autorità regia nella monarchia costituziouale, appoggiandosi all'esempio quotidiano dell'Inghilterra, solo paese, ei dice, che ne abbia finora avuta pratica lunga e felice, solo forse dove sieno vere e larghissime le libertà, tutte le libertà. Combatte con energia la frase che abbiamo riportata, il re regna e non governa, la quale a lui sembra incomprensibile applicata al capo dello Stato, e la dice un'autitesi, uu'anomalia, un'antinomia, un mistero. Luigi Filippo in Fraucia, Guglielmo II, Giorgio III e la regiua Vittoria in Inghilterra regnarono e regnano governando, cioè entrando col loro volere personale negli affari più importanti dello Stato. Se uo, è un volere repubblica camuffata a monarchia, è un indurre aBzi il principe a quel magistrato repubblicano, e molto inferiore al presidente americano, a quel grande Elettore inventato da Sieyès e deriso da Napoleone; è un limitarlo a uffizio animale, veramente e vilmente animale, e non si troverà uiun principe o casa di principi o non principi che vi si voglia adattare. Anche quando si trovasse uno, questi, col solo uffizio di eleggersi i ministri, potrebbe, vorrebbe e dovrebbe entrare, per amore o per forza, negli affari dei suoi ministri ed influire nelle loro deliberazioni colla minaccia di sceglierne altri.
      Tutto ciò, ci pare, non è sciogliere il difficile problema, poiché sarà pur sempre vero che per quanto il principe governi, i ministri che firmano i suoi atti assumono la responsabilità di essi facendoli proprii, e sottoponendosi alla revisione del Parlamento. E se questo uou li approva, nou converrà al principe scegliersi altri esecutori delia sua volontà, la quale dovrà pure iufiue modificarsi su quella della rappreseutauza della nazione? Parliamo di principe che voglia mauteuersi costituziouale, e regnare col concorso delle istituzioni da cui è circondato.
      Né per certo ci accingeremo noi a pronunciare l'ultima parola su d'una questioue intorno alla quale così poco vauuo d'accordo i principali pubblicisti. Forse la pratica troucherà il nodo, la pratica che insegnerà ai varn rami del potere i mezzi per tenersi iu quei limiti che le teorie potranno indicare, ma tracciare non mai.
      Prima di finire entriamo in un argomento più piauo, nel quale non faremo che esporre compendiosamente ciò che tiene alla successione regia secondo le norme dello Statuto.
      La legge Salica, per la quale le donne sono escluse dalla successione, regua presso di noi. Dettata dai Franchi e applicata in priucipio alle trasmissioni ereditarie dei feudi, comiuciò a regolare la trasmissione del regno quando questo pure, primamente in Francia sotto i Capeti, divenne feudo. Non si estese all'Inghilterra, la quale, costituzionale da un pezzo, non teme grandi incouvenienti dal veder sul trono una donna. La Spagna l'ebbe firn liè Ferdinando VII. per favorire la moglie Maria Cristina, introdusse nuovo modo di successione, ondet^ooQle


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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume XIX (parte 1)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1885 pagine 1280

   

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