Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
ftEGtA — REGILLO
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portava, Del secolo xm cadde tre volte in potere de' Ghibellini. Al cader di detto Becolo passò con Reggio nelle mani di Obizzo d'Este fino al 1307, quando un più fortunato ladrone, Giberto da Correggio, lo tolse ad osbì, ma non seppelo serbare cosi che fra pochi anni appartenne a Passerino Booaccolti, signore allora di Mantova. Fu appresso dei Gonzaga, unito al ducato di Guastalla, poi a quello di Parma, e nel 1847 per compatto a quello di Parma, e nel 1847 per compatto a quello di Modena, ultimamente al reame italico.
La rocca, con la chiesa, sita al lato settentrio-Dale del paese, ha pittoresco aspetto; nelle moderne fabbriche notasi il teatro ed uno spedaletto: avvi scuole comunali primarie, e condotta medica, chirurgica, veterinaria.
REGÌA (amm. pubb. e fin.). — Amministrazione di beui coll'obbligo di renderne conto. Più specificamente si applica alla gestione di cespiti finanziarli pubblici affidata ad appositi funzionari o ad imprese. In Italia durò fino all'anno 1883, in cui fa abolita la Regìa cointeressata dei tabacchi, affidata ad una società appaltatrice, che pagava una compartecipazione all'erario.
REGICIDIO (dir. pen.). — Alle voci Lesa Maestà fu riferito ciò che spetta alla storia di questo reato; aggiungeremo alcunché circa alle pene con le quali presentemente è colpito.
L'attentato contro la sacra persona del re è punito come il parricidio (Cod. pen., art. 153). Il parricidio poi è punito di morte esemplare ; il reo vien condotto al luogo del patibolo a piedi nudi (il Codice francese aggiunge, in camicia) e col capo coperto di un velo nero. Il toscano infligge la pena di morte semplice, la quale però venne abolita in quelle provincie da decreto del Governo provvisorio del 1859. Il Codice delie Due Sicilie e il Regolamento romano puniscono con la morte di esemplarità.
La parola attentato, con la quale si designa que-sto crimine, comprende tanto il reato consumato, quanto il semplice tentativo. Vi è attentato dal momento che siasi dato principio ad un atto qualunque di esecuzione; così si esprime il Codice italiano (art 159) sulle traccio del francese (art. 88), seguite pure dal napoletano (art. 224) e dal toscano (art 98).
Che il tentativo deva essere punito meno del reato compiuto, è massima pacificamente accolta dai Codici italiani, respinta dal francese. Nondimeno vediamo quelli pure togliere ogni distinzione quando si tratti di regicidio non solo, ma di tutti i reati contro la sicurezza dello Stato. La ragione di tale apparente incoerenza sta nella natura stessa di codesti reati. In generale, quando un reato politico siasi consumato, anziché punizione, i rei ne hanno vittoria e premio. Chi giunge a rovesciare un Governo non sarà certamente punito dal Governo che instaura in sua vece. Per ciò il solo eseguimento di alcuni atti che mostrino chiaramente la intenzione di commettere un reato politico, costituisce il reato stesso.
Quando la persona del principe compendia in se stessa tutta la sovranità, attentare alla sua vita è il massimo dei delitti. Non crediamo però che sipossa dire altrettanto, almeno quanto agli effetti, allorché si tratti di principe che divida col popolo l'esercizio del potere. Sarà sempre un crimine degno di severità massima, ma non possiamo ammettere che sia tale da far equiparare il tentativo alla consumazione di esso. In un Governo costituzionale è estremamente difficile, è impossibile anzi, qualora l'esercizio dei diritti politici stia a cuore del popolo, che nel sovrano si trovi la più larga base, e la guarentigia più salda della sicurezza dello Stato. Troncare la vita del sovrano non vuol dire rovesciare il Governo, impedire la punizione dei rei. È principio di diritto costituzionale che il re non muore mai: il re è morto, viva il rei ciò non vuol dire se non che la persona di chi attualmente ò re, è assolutamente secondaria di fronte al principio della regalità.
Si pnnisca dunque severamente chi offende codesto principio, dalla maggioranza creduto necessario al benessere sociale ; ma qualora la offesa non riesca a privare di vita il rappresentante di esso, non si colpisca con estremo rigore il reo che rimase deluso nel risultato voluto. Imperocché il dolore e l'indignazione del popolo potranno essere dal tentativo eccitati al massimo grado, ma il danno sociale non raggiungerà mai quel punto, che permetta di porvi riparo coi mezzi supremi.
Per quanto riguardala quistione altre volte tanto agitata del diritto di uccidere il sovrano, si veda alla voce Tirannicidio.
REGILLO (stor. rom.). — Nome di una famiglia della gente Emilia patrizia.
L. Emilio Reglllo fu dichiarato console con T. Ota-cilio, per l'auno 214 av. Cr., dalla centuria prerogativa, e sarebbe stato eletto senza dubbio se Q. Fabio Massimo, che presiedeva ai comizi, non avesse osservato che ci era bisogno di generali più sperimentati per gareggiare con Annibale, e che Regillo, per essere stato Flamine Quirinale, non doveva lasciar la città. Regillo ed Otacilio furono perciò frustrati nelle loro espettazioni, e Fabio Massimo stesso fu eletto con Claudio Marcello in loro vece. Regillo mori nel 205 av. Cr., nel qual tempo è mentovato come Flamine Marziale (Liv., xxiv, 7, 8, 9, ecc.).
L. Emilio Regillo, figliuolo probabilmente del precedente, era pretore nel 190 av. Cr. nella guerra contro Antioco. Ricevette come sua provincia il comando della squadra, e condusse le operazioni navali con vigore e successo. Appoggiato dai Rodii, sconfisse la squadra d'Antioco, sotto il comaudo di Polissenida, presso Mioneso, isoletta della costa Jonia, e prese poco appresso la città di Focea. Al suo ritorno a Roma nell'anno seguente ottenne un trionfo (Liv., xxxvi, 45, ecc.; Appian., Syr.y 26, 27).
M. Emilio Regillo, fratello del precedente, cbe accompagnò nella guerra contro Antioco, e morì a Samo nel corso dell'anno 190 av. C. (Liv., xxxvn, 22).
E' parrebbe che questa famiglia si speguesse poco appresso. Sappiamo da una lettera di Cicerone (ad Attic.y xn, § 2) che Lepido, probabilmente M. Emilio Lepido, console nel 78 av. Cr., aveva.un figliuolo di nome Reglllo. che era morto al tempo che scriveva Ciceroue. È probabile che Lepido desiderò far rivivere il coguome di Regillo nella gente Emilia,
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