Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
REGOLE DT DIRITTO
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cui plus licei, quod minus est non licere (L. 21, ivi); sempre che ciò sia nel medesimo genere di fatto. In toto jure, generi per speciem derogatur, e nel genere si comprendono le specie. Chi promise una specie dee Tideutico corpo, soggetto alla sna obbligazione (L. 80, ivi).
Invito, beneficium non datur (L. 69, Dig. De reg. jur.) \ nè può astringersi alcuno ad usare di un diritto a vautaggio di lui conceduto: quod cui que prò eo prcesto tur, invito non tribuitur (L. 158, ivi); unicuique licet contemnere hcec quee prò se introducta sunt (L. 41, De minor.). Chi può volere può non volere, cioè ricusare: ejus est non notte qui potest velie (L. 3, Dig. De reg. jur.) ; ma non si può ripudiare quello che non si può chiedere (L. 174, ivi). Queste due regole si applicano all'eredità. Da qui l'autica massima, di non potersi ri-nuuciare ad una successioue non ancora aperta nè conferita. 11 privilegio o l'eccezione congiunta alla condizione della persona, svanisce con questa, ma il privilegio che deriva dalla natura dell'azione segue l'azione stessa (L. 68, ivi).
III. Regole generali ricavate dall'equità naturale. — È lecito a ciascuno l'avvantaggiare se stesso, purché non si noccia altrui ; Prodesse unusquisque sibi, dum alii non nocet, non prohibetur (L. 1, § 11, De aqua et aqtia pluv. are.). Si può portare utilità ad un terzo, anche lui insciente, non mai danno (L. 74, Dig. De reg. jur.; L. 39, Dig. De neg. gest.; Cod. civ. austr., §§ 1036, 1037, 1040, 1043) ; il fatto di un tale non può nuocere che a lui, non ad altri (L. 155, Dig. De reg. jur ). Non deberet alii nocere quod inter alios actum essei (L. 10, Dig. De jurejur. ; Cod.fr., art, 1165). Non si dee riversHre sopra altri un sofferto pregiudizio (L 67, Dig. De fidfjuss.). Nemo potest mutare con-silium suum in alterius injuriam (L. 75, Dig. De reg. jur.). Affinchè questa regola non venga in contrasto con quella Neque imperare sibi, neque se prohtbere potest, esposta superamente, conviene applicarla ad un atto qualunque di volontà giuridicamente manifestato. Niuuo può arricchirsi con altrui danno : Neminem cum alterius detrimento fieri locupletiorem (L. 206, ivi). Bono et cequo non con-vewat, aut lucrari aliquem cum damno alterius, aut damnum sentire per alterius lucrum (L. 6, Dig. De jur. dot.). Non debet lucrari ex alieno damno (L. 28, Dig. De dolo malo). Cosi si obbliga anche il pupillo da sè solo in quantum lucupletior factus est. Sembra non ostarvi il § 865 del Codice civile austriaco. I successivi paragrafi 1042, 1043 dello Btesso Codice racchiudono il principio suesposto.
Essendo suprema norma di giustizia di rendere a ciascuno il suo, lo stesso diritto non deve frapporre ostacolo ad una più giusta domanda delle cosa (L. 31, § 1, Dig. Depositi vel contra; Cod. civ. frane., art 1938). È naturale che chi profitta d'una cosa ne sopporti i pesi, e chi divide questi partecipi anche del profitto (L. 10, Dig, De regulis juris). JEquum est ut cujus participavit lucrum, participet et damnum (L. 55, Dig. Pro socio; Cod. civ. austr., § 1043).
Non si deve portar pena di un servigio renduto: Est iniquum, damnosum cuique esse officium suum (L 7, Dig. Testam. quemad. aper.) ; come non deveritorcere a nostro pregiudizio un servigio prestatoci: Adjuvari nosy non decipi beneficio oportet (L. 17, § 3, Dig. Commodati). Niuno deve vantaggiare la propria coudizione mediante un proprio delitto: Nemo ex suo delieto meliorem suam con-ditionem facere potest (L. 134, § 1, Dig. De reg. juris) ; nè è lecito trar profitto dal proprio dolo: Nec cequum est dolum suum quemquam relevare (L. 63, § 7, Dig. Pro socio) ; nè acquistare un diritto per azione disouesta (L. 12, § I, Dig. De furtis). Similmente la frode di una persona non può attribuire ad un'altra una profittevole azione: Alterius circumventio alii non prcebet actxonem (L. 49, Dig. De regulis juris).
In ogni affare, ma specialmente in quelli della giurisprudenza, deesi attenere all'equità (L. 90, Dig. De reg. jur.), e preferirla al rigore del diritto: In omnibus rebus prcecipuum essejustitice cequitatisque quam stridi juris rationem i L. 8, Cod. De judic.). È proprio della buona fede l'appigliarsi più al merito che all'ordine (L. 29, § 4, Dig. Mandati). Allorché è impossibile di decidere un affare senza offendere l'equità, va prescelto il partito meno ingiusto (L. 200, Dig. De reg. jur.). Nelle cose ambigue deve seguirsi la sentenza più umana. In ambiguis rebus humaniorem sententiam sequi oportet (L. 10, § 1, Dig. De rebus dubiis). Nelle cose dubbie debbonsi sempre preferire le più benigne: Semper in dubiis benigniora prceferenda sunt (L. 56, 192, Dig. De reg. jur.). Interessa agli uomini che avveuga bene all'uomo (L. 7, De serv. export.); e quindi che si anteponga al bene particolare il generale: Quod communiter omnibus prodest, hoc privai ce utilitaii prceferendum (L. 1, Cod. De caduc. tollendis).
IV. Regole desunte dal diritto civile. — Ciò che in origine è nullo non può in progresso divenir valido (L. 29, Dig. De reg. jur.). Questa regola, detta Catoniana dal nome del suo autore Marco Porcio Catone, figlio del censore, fu fatta pei testamenti, ma è applicabile eziandio ai contratti; non si applica cbe agli atti radicalmente nulli ; i viziosi possono essere conformati in processo di tempo. Gli acces8orii seguono la natura e la sorte del principale e con esso si estinguono (L. 29, Dig. De reg. jur.) Cum principalis causa non consistat, plerumque ne ea quidem quee sequuntur locum ha-bent (Legge 178, ivi). La voce plerumque annuncia avere cotale regola le sue eccezioni, e Gotofredo ne reca per esempio il caso di un fidejussore che abbia dato ipoteca per la sua obbligazione: sebbene l'ipoteca sia un accessorio, pure divenuto il fidejussore erede del debitore principale e quindi estinta e confusa l'obbligazione primaria, dura nulla ostante la secondaria, cioè l'ipoteca. Non so-lent quee abundant vitiare scripturas (L. 1, § 5, , Dig. De verb. oblig.). Si applica questa regola ai ' contratti, non meno che ai fedecommessi, legati ed ; istituzioni di erede, per esempio, non si annullano gli atti che contengono un'erronea indicazione, una falsa causa e simili.
Ciò che è impossibile o fuori di natura si ha per per non iscritto (L. 135, Dig. De reg. jur.) e non annulla l'obbligazione. Secondo il Codice francese, ! la condizione di non fare una cosa impossibile non rende nulla la obbligazione (art. 1173); bensì quaudoGooqIc
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