Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
REGOLO ATTILIO
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ai Clipea ed Aspide, che presero e stabilironvi i loro quartieri generali. Di colà devastarono il territorio cartaginese e raccolsero un immenso bottino dal paese inerme. All'avvicinarsi dell'inverno, Manlio, uno dei consoli, tornò a Roma con metà dell'esercito per ordine del Senato, mentre Regolo rimase coli'al tra metà a continnare la guerra. Egli spinse con vigore le operazioni, e fu grandemente assistito dall'inettezza dei generali cartaginesi. Il nemico aveva raccolte forze ragguardevoli, di cui affidò il comando ad Asdrubale, Bostare ed Amilcare; ma questi generali evitarono le pianure, ove la loro cavalleria e gli elefanti avrebbero dato loro an grande vantaggio sopra i Romani, e si ritirarono nelle montagne. Là furono assaliti da Regolo e sconfitti intieramente con grandi perdite; 15,000 rimasero, dicesi, uccisi in battaglia e 5000 prigioni con diciotto elefanti. I Cartaginesi si ritirarono dentro le mura della città, e Regolo corse il paese senza ostacolo. Numerose città caddero in potere dei Romani, e fra le altre Tunisi, poco lungi dalla capitale. Ad accrescere lo sbaraglio dei Cartaginesi, i Numidi colsero il destro di ricuperare la propria indipendenza, e le loro orde vaganti compirono la devastazione del paese. I Cartaginesi alle strette inviarono un araldo a Regolo a chieder pace. Ma il generale romano inebbriato dal successo, l'accordò soltanto a condizioni cosi intolleranti, che i Cartaginesi deliberarono di proseguire la guerra. In quel mezzo un greco di nome Xantippo chiari i Cartaginesi che la loro sconfitta era effetto dell'inettezza dei loro generali e non della superiorità delle armi romane, ed inspirò tale una fiducia nel popolo, che fu posto immediatamente a capo delle truppe. Confidando nei suoi 4000 cavalli e 100 elefanti, Xantippo marciò arditamente nell'aperta campagna contro il nemico, quantunque le forze fossero inferiori in numero a quelle dei Romani. Regolo accettò la battaglia offerta, la quale ebbe però fine con una compiuta disfatta. Trentamila Romani furono uccisi e duemila appena scamparono a Clipea; Regolo stesso fu fatto prigione con cinquecento de' suoi. Ciò avvenne nell' anuo 255 av. C. (Polib., i, 26 34; Liv., Epit., 17, 18; Eutrop., u,2l, 22; Oros., iv, 8 ; Aurei. Vitt., De vir. illustr.).
Regolo rimase prigione per cinque anni, fino al 250 av. C., quando i Cartaginesi dopo la loro sconfitta. pel proconsolo Metello inviarono un'ambasciata & Roma a chieder pace od almeno uno scambio di prigionieri. Eglino permisero a Regolo di accompagnare gli ambasciatori, sotto promessa che egli avrebbe fatto ritorno a Cartagine se le loro proposte venivano rigettate, credendo ch'egli persuaderebbe i suoi concittadini ad accordare uno scambio di prigionieri per ottenere la propria libertà. Questa ambasciata di Regolo è una delle storie più celebri nell'istoria romana. Gli oratori e i poeti riferirono come Regolo ricusasse dapprima entrar nella città quale schiavo dei Cartaginesi, come dipoi non volesse esprimere la sua opinione in Senato, avendo cessato d'essere, per la sua cattività, un membro di quell'illustre consesso; come, allorquando gli fu dato balla di parlare, tentò dissuadere il Senato dall'assentire alla pace od anco ad uno scambio di prigionieri, e quando li vide titubanti pel desiderio Nuova Encicl. Itàl. Voi.
di redimerlo dalla sua cattività, com'ei dicesse loro cbe i Cartaginesi gli avevano propinato un lento veleno cbe porrebbe tosto fine alla sua vita, e come finalmente quando il Senato ricusò, mediante la sua influenza, le offerte dei Cartaginesi, egli resistesse fermamente a tutte le preghiere de' suoi amici di rimanere a Roma e tornasse « Cartagine, ove lo aspettava il martirio. Al suo arrivo colà, dicesi fosse posto a morte con le più atroci torture. Narrasi ch'ei fosse posto in una botte irta di chiodi, nella quale rotolando, peri; ed altri scrittori aggiungono cbe, dopo tagliategli le palpebre, ei fu prima gittato in una muda ed esposto quindi ai raggi d'un sole cocente. Quando giunse a Roma la nuova della barbara morte di Regolo, il Senato vuoisi desse Amilcare e Bostare, due de' più nobili prigionieri cartaginesi, alla famiglia di Regolo, la quale si vendicò ponendoli a morte con crudeli tormenti (Liv., Epit., 18; Diod., xxiv, p. 566; Dion. Cass., Fragm., p. 62; Cicer., De off., in, 26, ecc.; Horat., Carni., tu, 5; Sii. Ital., vi, 299).
Questo celebre racconto fu però impugnato nei moderni tempi. Fin dal secolo decimosesto Palmerio lo dichiarò una favola, e suppose fosse inventato per iscusare la crudeltà commessa dalla famiglia di Regolo sui prigionieri cartaginesi (vedi Schwei-gh&user, Appiano, in, p. 394). Questa opinione fu adottata da molti scrittori moderni, ma il loro argomento principale è il silenzio di Polibio intorno ad essa. Niebuhr crede (Hist. of Rome, ni, p. 599) che Regolo morì di morte naturale; ma dacché tutte le antiche autorità concordano nel riferire ch'ei fu posto a morte dai Cartaginesi, noi non vediamo ragione alcuna per discredere questo fatto, quantunque la narrazione delle torture altro non sia probabilmente che una di quelle calunnie inventate del continuo dai Romani contro i loro nemici. L'orgoglio e l'arroganza onde trattò i Cartaginesi nelle ore del successo dovettero aver inasprito grandemente il popolo contro di lui, e non fa perciò maraviglia ch'ei cadesse vittima della loro vendetta. La quistione intorno la morte di Regolo è discussa a lungo da Haltbaus (Oeschichte Roms in Zeitalter der Punischen Kriege, Lipsia 1846), il quale mantiene la verità della relazione comune. Regolo fu uno degli eroi prediletti della storia primitiva di Roma. Egli fu celebrato non solamente a cagione del suo eroismo nel consigliare il Senato a non cedere, il che gli traeva addosso la morte, ma anche a cagione della sua frugalità e semplicità di vita. Come Fabricio e Curio, ei visse del suo paterno podere, che coltivò con le proprie mani; e i secoli successivi si piacquero a ripetere com'egli chiedesse di essere richiamato dall'Africa, essendo quel podere trasandato e la sua famiglia penuriosa. Nessuno forse meglio ritrasse il personaggio di Regolo che Orazio nella sua ode Cedo tonantem credidimm Jovem, ecc. Questo argomento fu trasportato sulle scene italiane dal Metastasio, sulle francesi da Pradon, Dorat, e più recentemente da Arnault figlio , e da altri in altre lingue (Liv., Epit., 18 ; Valer. Mms., iv, 4, § 6).
C. Attilio Regolo Serrano, fu console per la prima volta nel 257 av. Cr. con Cornelio Biasio, e con-XIX. 7
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