Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
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RENI GUIDOl'Elena nel palazzo Spada ; YErodiade nel palazzo Corsini ; la Purificazione nella galleria di Modena; san Tommaso in Pesaro; 1*Assunta a Genova; Cristo che dà le chiavi a san Pietro nella chiesa di San Filippo Neri a Fano; nn san Giovanni nella galleria arcivescovile di Milano; la Vergine, il Bambino e san Giovanni nel palazzo Tanari a Bo-logua ; la Penitenza di san Pietro dopo aver rinnegato Cristo, nel palazzo Zampieri ; ma sopra tutti il gran quadro della Pietà alla pinacoteca bolognese, capo-lavoro di espressione divota e di forme grandiosamente severe, insigne soprattutto per gentile malinconia delle teste.
Guido, dice il marchese Selvatico, funno di quelli ingegni privilegiati che, in onta di un'educazione non felice, seppe trovare nella pittura quella dignità di linguaggio che la rende ad un tempo efficace e seducentissima. Abilissimo negli esercizi tecnici del pennello, potè farlo obbedire alla grazia colla quale disponeva sempre i suoi concetti. Portatosi a Roma, valse colà a formarsi una maniera che teneva di molti maestri ad un tempo, ma tut-tavolta riuscì a serbarsi originale per certa sua amabilità di forme e simpatia di teste, che forse -s da ninno fu superata. Il suo gusto fu delicato e nulla ostante più mondano che severo, più attraente che corretto. Aggiunse in una parola grande eleganza alle maniere dei contemporanei, eleganza che gli valse i suffragi dell'universale a tutta ragione, perchè se lo stile corretto è via a soddisfare l'intelligenza, l'eleganza attrae l'animo e lo dispone all'affetto. Gran peccato che tanti pregi appajano meno spiccati talvolta ne' suoi dipinti in causa dell'affettazione cosparsa nelle movenze e nelle drapperie in particolare, grandiose e ben pennelleggiate ma tutt'altro che vere. Di tali colpe per altro l'osservatore non si accorge nemmeno, specialmente se ferma lo sguardo sulle teste di lui miranti in su, sulle quali seppe infondere tanta espressione, tanta vita, tanta leggiadria, da rapire l'ammirazione anche ai più rigidi censori. E di tale sua potenza sentiva a diritto certa qual vanità, anzi, dirò meglio, orgoglio, giacché soleva dire: Lasciatemi eseguire due occhi che guardino in alto e vi farò miracoli. La ricchezza della composizione, la _ correzione del disegno, la grazia e la nobiltà nell'espressione , la freschezza del colorito, sommo gusto nel panneggiare, portamenti di testa mirabili , un tono morbido, vivace e leggiero, sono i pregi che generalmente occorrono nelle opere di questo grande maestro; negli stessi suoi cambiamenti non trascurò mai quella facilità che tanto alletta ne'suoi dipinti; e mise special cura a segnalarsi nella bellezza, massime di teste giovanili, in cui, a giudizio di Mengs, superò ogni pennello e, al dire del Passeri, fece volti di paradiso. A torto affermava l'Albano, suo acerbo e perpetuo rivale, che il bello di quelle teste giovanili fosse un dono della natura, poiché altro non era che il prodotto dello sludio di Guido sul bello naturale, e sulle opere di Raffaello, di Correggio, del Par-migianino, di Tiziano, di Paolo Veronese, non già copiando servilmente da tutti volti e membra, ma scegliendo il migliore, di che venne a poco a poco a formarsi in menfA un'idea generale ed astrattadella bellezza. Studiò anche sulle antiche statue e bassirilievi, sulle medaglie e sui cammei; e costumava dire che la Venere medicea e la Niobe erano i suoi modelli. Ad uno però di questi modelli, la Niobe, non si mostrò servilmente ligio che una sola volta, e fu nel gran dipinto della Strage degli Innocenti, ove tutte le teste di donna arieggiano troppo da vicino il celebre marmo attribuito a Scopa. 11 simile faceva del nudo, riducendo, qual che si fosse, a forma perfetta, specialmente nelle mani e nei piedi, ov'è singolare: lo stesso avvenne delle vesti, che spesso traeva dalle stampe d'Alberto Durer e, toltane ogni secchezza, le arricchiva di quegli svolazzi e di quella grandiosità che richiedeva il soggetto. Ai ritratti, senza alterare le forme nè scemar gli anni, dava non sappiamo qual novità e grazia cbe grandemente piacevano ; variava in cento modi le pieghe degli abiti, sempre però facili, vere, piazzose, beninteso, soprattutto nel posamento; variava altresì le acconciature delle teste giovanili, disponendo i capelli ora sciolti, ora composti, ora negletti ad arte, e talora avvolgendoli sopra o veli, o pan
ni, o turbanti, con sempre nuova l
eggiadria; vario fu infine il suo dipingere nelle teste stesse dei vecchi, ove con tanta naturalezza espresse l'inegual cute e il cadere della barba, girandone i peli per ogni verso e animandole con certi tocchi risoluti ed arditi e con pochi lumi che di lontano fanno grande effetto. Gran cura mise similmente Guido nel variare le carni; le fece in soggetti teneri candidissime, e vi pose inoltre certi lividetti e azzurrini mescolati fra mezze tinte, che alcuni tacciano di manierismo.
Questi elogi però non meritano certamente tutte le opere sue, giacché in esse fu inegualissimo, a seconda dei trabalzi improvvisi a cui soggiacque la sua condizione economica. Lucrava tesori co' suoi dipinti, e intanto giuocava i pingui guadagni a turpi giuochi di azzardo, ove perdette somme in-gentissime, fino a vedersi necessitoso del pranzo, fino a vendere per pochi soldi il pennello a Saule Guidotti, impegnandosi a scontare il misero salario con un quadro alla settimana. Allora tirava via di fretta e di furia badando di far presto piuttostochè al far bene. Ammassato cosi altro danaro, tornava a giuocare e sciupava di nuovo gli avanzi. Laonde di nuovo ponevasi a guastar l'arte. Perciò nelle opere condotte durante l'inopia frequentissimi i falli di prospettiva, le scorrezioni di disegno e le trascuratezze del pennello.
Guido Reni ebbe discepoli così in Roma come in patria, i quali furono da lui avviati in principio nell' imitazione di Lodovico Caracci e de' baoni maestri, accennando loro i buoni fondamenti e le cose più sostanziali dell'arte, senza trattenerli su certi particolari che in principio annojano e confondono le menti de' principianti, ai quali sono poi naturalmente insegnati dalla pratica. Anche i suoi emuli, per quanto si crede, li seguitarono, ripetendosi dall'imitazione di Guido quella tenerezza che distingue talvolta il Domenicbino, l'Albano e il Lanfranco dai Caracci.
Quantunque Guido non fosse ammaestrato nelle lettere e nelle scienze, era però piacevole ed arguto nelle parole e nei fatti, sempre schifando la
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