Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
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legge fa col tempo abolita, riceverono un'apoteosi dai loro concittadini. Altri perderono il capo su patiboli, che in seguito furono chiamati martiri di amor patrio. Altri ancora si videro perseguitati come ribelli da un usurpatore del loro paese, che, questo divenuto libero, ne furono venerati quali fondatori, ed ebbero nome di capi di una grande nazione. L'istoria intera offre in ogni sua pagina consimili fatti. Devesi dire per ciò, che non vi sia altro diritto che il fatto, e che si divenga ribelle tutte le volte che non si abbia forza bastante a trionfare? Moltissimi sono coloro i quali propugnano questa dottrina materialista. In quanto a noi, siamcr all'opposto convinti che avvi per le fazioni, non meno che pei popoli e per gl'individui, una giustizia indipendente dal successo. Gli uomini che con le armi alla mano sostengono i principii di morale e di equità, i diritti imprescrittibili del-l'uman genere e quelli delle nazioni, possono essere trascinati su patiboli; nondimeno non sono ribelli, e se vuoisi sapere chi pronunzierà sulla qualità che devesi loro attribuire, la voce di tutta l'umana specie risponderà che Padilla, Riego, d'Eg-mont, Mario Pagano furono eroi, e i loro giudici, tiranni, mentre ch'essa non ha assolto Cesare, malgrado tutta la sua gloria, da ribelle pervenuto alla massima potenza di un usurpatore. Senza voler penetrare più addentro in siffatta questione metafisica, esaminiamo quàli debbano essere le applicazioni del diritto delle genti nelle guerre civili, quando una delle due parti vien dichiarata dall'altra in istato di ribellione. Ordinariamente colui che si pretende legittimo, comincia, in virtù delle leggi penali, dal mettere fuori di legge i suoi nemici, e in conseguenza non si tiene stretto da obbligo alcuno verso di loro. I prigionieri sono trattati come rei convinti, e ordinariamente passati per le armi ; niun parlamentario può essere spedito; e se avvi qualcuuo che cimenti sostenere una missione conciliatrice, viene respinto e qualche volta fatto anche prigioniero. Spesso ancora avviene che la parola data dai generali ai sollevati è ben presto rivocata. Questi attentati all'umanità e alla buona fede richiamano necessariamente terribili rappresaglie, e le guerre civili non hanno mai termine, o almeno si lasciano addietro degli odii inestinguibili. Noi crediamo dunque che un governo, pel bene generale dell'umana specie e pel suo particolare interesse, deve, anche quando il diritto sta perfettamente dal suo canto, nelle guerre che fa ai ribelli. ravvicinarsi per quanto è possibile alle regole e alle forme che si osservano nelle guerre da Stato a Stato. Crediamo che in simile caso non sia conveniente trattare i prigionieri come se appartenessero ad una Potenza straniera. Possono e debbono essere tradotti innanzi ai tribunali del loro paese, le cui leggi hanno violate. Ma comunque talvolta sieno necessarii degli esempi di rigore, non è mai necessario decretare che ogni ribelle preso con le armi alla mano sia immediatamente posto a morte. Un governo, regolandosi in questa maniera, dà ai suoi soldati quelle abitudini di crudeltà che li demoralizzano, e che richiamano dall'altra parte delle rappresaglie non meno crudeli. Ma soprattutto inverso i messaggi e alla fede giu-
rata è indispensabile osservare le leggi comuni nella guerra civile. Come, infatti, arrivare alla pace, ch'è lo scopo d'ogni guerra, se gli uomini che propongono delle trattative sono ricevuti a colpi di fucile o posti in catene ; se i ribelli, disposti ad abbassare le armi sotto una condizione qualunque, non sono mai sicuri di vedere adempita questa condizione, anche quando sia stata loro accordata? Conchiudiamo, non esservi altri ribelli, se non coloro i quali si elevano contro un governo legittimo; che il genere umano è giudice della legittimità dei governi ; finalmente che i governi legittimi, senza nuocere al proprio interesse ed a quello dell'umauità, non possono violare coi ribelli le leggi di morale, di giustizia e di onore, che debbono sempre formare la base delle relazioni internazionali.
RIBERA (geogr.). — Comuue nel circondario di Bivona, provincia di Girgenti, con 8122 abitanti.
RIBERA Giuseppe (biogr.). — Detto lo Spagno-letto. celebre pittore ed incisore spagnuolo, uato a Xativa (oggi San Felipe), nella provincia di Valenza, il 12 gennajo 1588, morto a Napoli nel 1656, fu discepolo ne' suoi primi anni de'Caracci. e recatosi giovane a Napoli, divenne allievo dell'Amo-righi, nel cui stile, oltre alle attrattive della moda, trovava una perfetta rispondenza ai soggetti terribili ch'egli prediligeva. Trasferitosi a Roma più tardi, e viste le opere di Raffaello e di Aunibale Caracci, tentò elevare lo stile e rendere meno urtanti le esagerazioni de' suoi concetti e del suo chiaroscuro, sicché riuscì a superare il suo esemr piare favorito. Per mostrategli degnp rivale dipinse alla certosa di San Martino quel bel Deposto di croce, che, al dire di Luca Giordano, sarebbe bastato da solo a mettere un artista in riga coi più famosi. Nel coro della stessa chiesa dipinse uua Cena sullo stile di Paolo Veronese, egregia per colore ed anche per espressione. Ma il suo vero capolavoro è il Martirio di san Bartolomeo, che ammirasi ora al Museo di Berlino. 11 soggetto straziante si prestava mirabilmente allo spirito truce dello Spagnoletto, ed è perciò ch'egli ripetè moltissime volte quel lavoro; per la qual cosa non v'ha quadrerie famose in Europa che non abbiano repliche di quella sanguinaria composizioue. Venuto in grandissima fama per queste opere, fu nominato pittore di Corte e ricolmo si fattamente di onori e di ricchezze, che divenne l'autocrata della Bua professione, esercitando una supremazia d spo-tica su tutti gli artisti che doveano lavorare nel regno. Una posizione cosi spleudida, dovuta più che altro alla protezione del re, rese più malevolo ed inquieto Ribera, che vedeva in ogui artista un rivale disposto a soppiantarlo. Il suo spirito geloso comunicandosi a tutti coloro che erano attaccati I al suo carro, si formò bentosto una camarilla d'artisti, vera lega offensiva contro chiunque non fosse del loro partito. Tutti i mezzi erano buoni per costoro, perfiuo l'assassinio, pur di riuscire. Roso il Ribera dall'invidia e dall'ambizione, volle espulsi da Napoli tutti quegli artisti d'ingegno che non consentivano di far parte della congrega, ed ot-teune pienamente l'intento, giacché a cagione delle nere sue trame non vi poterono rimanere nè Annibale Caracci, nè il Lanfranco, nè il Cavaliere
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