Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      RICCI ANGELO MARIA
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      che iu Giovanni Gaye, uno di quei dotti ed infaticabili uomini che Germania e* invia, diceva Cesare Balbo, ad involarci una ad una le nostre eru-dizioni, il quale ne stese l'esame in uno scritto che doveva veder la luce negli Annali di Vienna, ri-putatissimo giornale artistico di quei giorni.
      Il grato accoglimento fatto a quest'opera invogliò il Ricci ad intraprenderne altra maggiore, non più alla nativa provincia riferenteBi, ma all'Italia tutta. Fermatosi allora in Bologua, opportunissima a siffatti studii, e nella qual città fu presidente della Accademia di belle arti, concepì l'idea di stendere l'istoria dell'architettura in Italia dal iv secolo dell'èra cristiana sino al cadere del xvm, e tosto accintosi ad incarnare il suo pensiero, percorse e rivide più volte le principali città della penisola, in ogni tempo cercando archi vii, documenti, biblioteche, visitando edifizi nelle diverse patrie di tanti architetti di cai doveva trattare, soggiornando sì per vedere cogli occhi propri i le opere loro, sì per raccogliere le più copiose, sincere ed accertate notizie. Al quale difficilisismo lavoro non bisognava meno della sua pertinacia negli studii, delle sva-riatissime cognizioni e dei consigli degli uomini più eminenti in fatto d'arte in Italia, tali che il Selvatico , r Odorici, il Troya, i quali tutti ne' loro scritti sovente e con grate parole d'encomio del Ricci fecero menzione.
      L'opera tanto sudata usciva dalle stampe di Modena in tre grossi volumi, tra gli anni 1857 e 1860. Offre dessa, durante il corso di ben quattordici secoli, la più completa storia dell'architettura in Italia, a cominciare dall'estremo suo decadimento, allorquando non già i Barbari (i quali non trovarono, a dir vero, scienza od arte nell'orbe romano da peggiorare o toglier via, in tanto abisso essendo caduta sotto gli ultimi Cesari la cosa pubblica, e con essa quanto suole abbellire, afforzare, distenebrare le menti umane) ma i degeneri Romani spingevano l'arte all' ultima rovina. Espone quindi il suo continuo declinare sino al termine del secolo xi, allorquando un nuovo alito di vita spirando per tutta Europa ravvivò anche qui l'architettura, facendola risorgere libera, gagliarda, potentissima; parla del mirabile innesto elaborato dai quattro* contisti, della maniera antica coi novelli bisogni e col novello stile, senza che quella troppo preponderasse, e, chiamata in ajuto all'arte cristiana, non riuscisse a soffocarla. A sì funesto fine pervennero gli architetti dello scorcio del secolo xvi, i quali idolatrando l'antico, nè potendo rettamente comprenderlo (non essendo ancor nota l'arte critica la quale, avvalorata dagli studii storici comparati, sa estimare i migliori portati della fantasia, distinguendo in essi quauto vi è di bello, insito, perpetuo e sempre applicabile , dal bello relativo), vollero male a proposito instaurarlo laddove i nuovi biso-gui. la nuova civiltà, la nuova religione radicalmente e risolutamente lo ripulsavano. Tra il culto dell'antico e la necessità di attuar editici rispondenti all'epoca disformo troppo dall'età romana, oscillanti gli architetti dall'uno all'altra, in quel cozzo di bisogni materiali e di stile astratto, non approdavano a cosa alcuna. Il qual malanno viepiù crescendo quanto più ci appressiamo ai giorni no-
      : stri, ne venne in ultimo la moderna' architettura italiana affatto spoglia come d'ogni bellezza intrinseca così d'ogni carattere proprio. A quest'epoca si arresta l'autore dopo esposte con isquisita copia le successive e sempre declinanti variazioni di un'arte morente.
      Tante fatiche però gli affievolirono la persona, ma non lo spirito. Ed ei già preparava della sua storia una seconda edizione ricca di giunte e di emendazioni. La morte gli ruppe il disegno a mezzo. Schietto ricercator del vero, soleva dismettere l'opinione abbracciata, eziandio dopo lunghe indagini, non appena un nuovo fatto a sua notizia pervenuto
      10 avesse convinto, doversi per amor del vero lealmente discrederla ; fu modestissimo, facile a piegarsi agli argomenti contrarii, purché afforzati di buone ragioni; della probità rigido seguace ; nelle cose religiose severissimo per sè , tollerante con altri; schivo di alterchi, ai suoi affettuoso, ai po> veri benefico; l'amore dello studio, delle arti, della storia informò la sua vita: di siffatte discipline esclusivamente si compiacque; in esse operosamente, fruttuosamente adoperassi; delle sue indagini lasciò segnalate vestigia. Rimarrà il suo nome fra quelli dei pochi che, postergando un'affannosa am< bizione, dalla tranquilla operosità mentale a tranquillo costume associata attendono un premio purissimo.
      Vedi Archivio storico, nuova «cric (voi. xvi, 1862).
      RICCI Angelo Maria (biogr.). — Illustre poeta, nato nel 1777 nel castello di Massolino, fra Aquila e Rieti, sulla frontiera del regno di Napoli, morto nel 1850 a Rieti ; studiò nel collegio Nazareno a Roma, ed andò assai debitore alle cure del padre Fasce delle Scuole Pie ed all'amicizia del padre Solari, non che al padre Gismondi, che lo ammaestrò nella fìsica, nelle matematiche e specialmente nella storia naturale. Giovine ancora pubblicò un poemetto latino assai lodato, intitolato De gemmis (Napoli 1796), per le nozze del principe ereditario di Napoli con Maria Clementina d'Austria. La disposizione che aveva a rivestire di forme poetiche i soggetti più gravi, gli fece imprendere l'esposizione della cosmogonia di Mosè in un'opera mista di prose e versi, intitolata: Cosmogonia mosaica fisicamente sviluppata e poeticamente esposta (Roma 1802), nella quale cercò conciliare le tradizioni bibliche con le opinioni dei filosofi. Questo lavoro giovanile fu molto lodato, specialmente per la parte geologica e fisica. Il suo ingegno, i suoi successi e l'amenità delle sue maniere gli procacciarono più amici che invidiosi. Il re Murat soddisfece quasi al pubblico desiderio nominandolo suo bibliotecario, istitutore de' suoi figliuoli e proponendolo per lettore alla regina. Il cavaliere di Malta, chò tale era
      11 Ricci, si mostrò riconoscente a tanti favori componendo un lungo poema, intitolato Fastidi Gioacchino Napoleone (Napoli 1813), in cui piuttostochè le imprese militari celebra il governo civile dì Murat, le opere pubbliche, gli utili stabilimenti fondati e promossi, ecc. Al ritorno del re Ferdinando in Napoli Ricci conservò il posto di professore di eloquenza all'Università e di membro della direzione dell'istruzione pubblica e degli spettacoli. Ma poco appresso dovette rinunciare a cagione dell'affievo-
     


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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume XIX (parte 1)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1885 pagine 1280

   

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