Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      HlVAMONtE - RIVAROL ANTONIO
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      — Rlvalta Trebbia, provincia e circondario di Piacenza, con 2665 abitanti.
      RIVÀMONTE Belluno, circondario di Agordo, con 1799 abilRi VANA ZZANO [geogr.). — Comune nel circondario di Voghera, provincia di Pavia, con 2632 abitanti.
      RIVARA (geogr.). — Comune in provincia e circondario di Torino, con 1649 abitanti.
      RIVAROL 'Giuseppe Filippo DI SAN MARTINO DI AGLIÈ Marchese di) (biogr.). — Generale francese, nato iu Piemonte, morto il 31 maggio 1704, entrò al servizio della Francia e segnalossi nelle guerre di Catalogna e di Allemagna alla testa di un reggimento di cavalleria che aveva reclutato nel 1672. A cagione del suo grande coraggio gli fu dato il soprannome di Débauché de bravoure. All'assedio di Puicerda una palla di cannone gli portò via una gamba; egli 8e ne fece fare una di legno, la quale ebbe poco appresso la stessa sorte. « Ah! questa volta, diss'egli alzandosi, il nemico fu corbellato; ho un'altra gamba nei miei bagagli >. Nel 1678 divenne brigadiere e comandò il reggimento Reale Piemonte. Promosso al grado di maresciallo di campo nel 1688, lasciò il servizio. Era gran croce di San Luigi e gran priore di San Lazzaro in Linguadoca.
      Suo figlio, Carlo Andrea, marchese di Rivarol, nato in Italia, servì dopo il 1695 in tutte le guerre di Luigi XIV e di Luigi XV, e si ritirò nel Forez dopo aver avuto.il brevetto di maresciallo di campo (1° marzo 1738). Egli altresì ebbe il comando di un reggimento di dragoni.
      RIVARCL Antonio (biogr.). — È una delle qualità particolari dei Francesi lo sfoggiare bello spirito in mezzo alle più gravi circostanze, ai pericoli, alla morte. Si potrebbe, non solo della Fionda, ma sin del Terrore formare la storia a rinforzo d'epigrammi. Qui noi vogliamo solo citare Antonio Rivarol, che nella rivoluzione francese rappresentò il regime cbe cadeva, mediante facezie e arguzie, mentre con queste eransi minati il trono di Luigi XVI e la fama di Maria Antonietta. Rivarol, nato il 1757 in Linguadoca d'una famiglia di sedici figliuoli d'antica nobiltà italiana, ma ridotta a far l'ostiere, fu l'organo e l'esempio dei gusti, se non dell'opinione dei suoi contemporanei. Venuto a Parigi, parve occuparsi solo di piaceri, mentre seriamente traduceva Dante « per far la corte (diceva) ai Rivaroli d'Italia: avendo trovato un de'miei avi all'inferno ». Fu un forte esercizio di stile e lingua, ma anziché traduzione é uu'imitazione. Il suo valor letterario, e ancor più la grazia de'suoi modi e l'irresistibile vivacità della sua parola gli valsero facili trionfi nei caffè d'allora, e viepiù quando, nel 1787, ottenne dall'Accademia di Berlino il premio proposto al miglior trattato sull'universalità della lingua francese, e le probabilità della sua durata. È opera gonfia, come sogliono essere le accademiche, ma di reale merito critico. E appunto l'infallibile facilità della sua parola e il suo giudizio critico lo poneano in evidenza, mentre i suoi asserti spiravano sempre amore del vero, del bello, del buono. « Le persone di gusto (dice) sono i gran giudici della letteratura. Lo spirito di critica è spirito d'ordine; inquisisce ì delitti contro il gus to, e li porta al tribuuale del
      , ridicolo, giacché il riso è sovente l'espressione della sua collera; e quei che lo biasimano non pensano abbastanza che l'uomo di gusto ha ricevuto venti ferite prima di fame una ».
      Valga o no la giustificazione, egli spingeva la critica fino a trucidare una legione di poetastri contemporanei, nelVAlmanacco dei grandi uomini (1788), ove, sotto finta di elogi ampollosi, getta al ridicolo le colpe letterarie dell'anno.
      Scoppiata la rivoluzione, prese uno scopo più elevato, pur consono all'interesse, ai gusti, ai pregiudizi suoi, e lottò ardito contro la democrazia. È un contemporaneo che scrive, ma spesso somiglia alla posterità che giudica. Nella Politica nazionale pubblicò articoli vigorosi e sani ; con una veemenza non iscompagnata da politezza, rivelando come causa delle turbolenze la gelosa vanità dei civili, ben più che i patimenti del popolo; e traverso allo studio dell'autite8i e dell'epigramma trapela la serietà dei suoi pensamenti e la lucidezza delle sue vedute Btatiste. < La politica (diceva) è come la sfinge j della favola; divora quei che non ispiegano i suoi euigmi ». Nè risparmiava il suo partito. < La plebe di Parigi come di tutte le città del regno, ha da commettere grau numero di delitti prima.di pareggiare le follie della Corte. Tutto il regno attuale può ridursi a quindici anni di debolezza e uu giorno di forza mal adoprata ». Degli aristocratici diceva, che prendevano le loro memorie per diritti ; e dei capi della coalizione reazionaria, che furono sempre indietro d'un anno, di uu esercito e di un'idea.
      Sullo spregio per le moltitudini fondò le sue teorie, e la spiegazione de' fenomeni sociali del tempo, c II popolo nou gusta la libertà che come l'acquavite per ubbriacarsi e inferocire. — Il popolo è un sovrano che domauda solo da mangiare: la sua maestà è tranquilla quando digerisce. - Non v'è secoli illuminati pel volgo; non è nè francese, uè inglese, nè Bpaguuolo. Il volgo è sempre e dappertutto lo stesso: sempre canuibale, sempre antropofago; quando si vendica de'suoi magistrati puuisce delitti non sempre certi con delitti certi. — Il volgo crede andar meglio alla libertà quando attenta all'altrui. — Le nazioni radunate dai re e consultate cominciano con desiderii, finiscono con volontà. — La filosofia moderna non è che passioni armate di principii ».
      Allora comparvero gli Atti degli Apostoli, per mettere in ridicolo le persone e la condotta dei capi rivoluzionarii ; ma quella facezia enormemente prolungata (sono dodici volumi) stancherebbe e stomacherebbe oggi il lettore più paziente.
      Rivarol non potea sperarsi sicuro, onde nel 1790 cercò, e due anni dopo riuscì a fuggire di Francia, andando a Brussella, ad Amsterdam, a Londra. Qui fece l'opera sua più seria, la Teoria del Corpo politico, combattendo la sovrauitàdel popolo: men-tre il potere è la forza organizzata, la sovranità è , la potenza conservatrice, il popolo è essenzialmente distruttore : sicché il Governo non deve affidarsi alle moltitudini, ma a una poco numerosa aristocrazia. I L'opera non comparve che in qualche brano scon-i nesso e disordinata.
      Ciò compiva in mezzo ai godimenti e alle distrazioni, a cui Amburgo dava tanti incentivi, cresciutit^ooQle


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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume XIX (parte 2)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1885 pagine 1280

   

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