Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      l'indole variabile, fluttuante e difficile a qualificarsi dei tentativi rivoluzionarii, che negli Stati moderni si ordinarono magistrature eccezionali a giudicarne gli autori. Non magistrature di volta in volta elette ad arbitrio di chi ha nelle mani il potere, ma sib-bene corpi deliberanti antecedentemente costituiti, i quali per l'autorevolezza ed indipendenza loro fossero al disopra dei sospetti, e per la quantità e la importanza dei loro membri fossero superiori a quel rigoroso dovere di applicare strettamente la legge, del quale son servi e deggiono essere servi i magistrati ordinarii. Le Camere dei pari o dei senatori, erette in Alte Corti di giustizia, sono un'applicazioue viva di codesta giuria lizioue eccezionale. La quale però non va estesa fino al segno di concederle un diritto d'iniziativa e di controllo. Imperocché allora le posizioni eminenti dei singoli membri non bastano, l'autorità morale e legale del corpo è insufficiente. Questo concetto di una magistratura conservatrice delle costituzioni e vindice dei prevaricatori e degli attentati era concetto del Roninguosi e di tutte le scuole contemporanee al nostro sommo pensatore; ma uon venne applicato senza essere seguito da disinganni. Uua eccellente costituzione, quella del 1848 in Francia, che appunto creava simile speciale autorità, ha palesato al mondo che questa era inefficace a reprimere i maggiori attentati rivoluzionarii, tuttavolta dimanavano da cospiratori potenti e felici. Egli è per ciò che non altramente la magistratura politica va ricevuta siccome un giurì serio e competente , tranne allora che sia investita delle sue attribuzioni allo avverarsi dei casi speciali e sopra iniziativa di altra autorità.
      Ciò è quanto dire che la scienza fiuora ha creato giudici per i tentativi di rivoluzione che sieno commessi dai cittadini, ma non trovò giurisdizione alcuna per minacciare di un giudizio gli attentati che vengono dal potere.
      Quauto alle peue, noi non ridiremo qui ciò che fu esposto alla voce Perduellione. Sibbene mantenendoci in quella sfera di considerazioni legislative e teoretiche a noi stessi tracciata, noteremo cosa in cui crediamo di non trovare contraddittori, cioè che la gravità delle pene nei reati politici sta in ragione inversa della libertà di cui gode uno Stato. Nelle monarchie assolute, perciò che minime o nulle sieno le pubbliche libertà, massime sono le pene inflitte a coloro che cercano di conquistarle. Nelle monarchie temperate, dove le franchigie nè tutte si negano, nè tutte si consentono, fu riconosciuto il dovere di diminuire di alquanto le sanzioni penali a coloro che mirauo con fatti qualificati a sovvertire o mutare la costituzione ; ond'è che la pena capitale non fu più comminata per codesti delitti nelle moderne leggi. Finalmente nelle repubbliche, dove le libertà sono di pubblico diritto, dove lo Stato non è patrimonio di alcuna casta, di alcun ordine d'intetessi, ragion vuole che le pene siano minime, e minimo il numero dei reati politici punibili.
      Dagli esempi di Roma agli ultimi sanguinosissimi e frequentissimi, quasi a scherno della civiltà moltiplicati a danno d'una nazione che si vuol morta, non mancano fatti a conferma di quanto diciamo. La Roma repubblicana che punisce di morte chiha suscitato nemici contro la patria; la Roma dei dittatori e delle guerre civili, che manda impunito, ricompensato quasi, il calunniatore nei delitti di maestà; la Roma imperiale, che punisce della pena dei sacrileghi chi batte uno schiavo, o muta vesti davanti al simulacro dell'imperatore, o porta una moneta, un anello avente la effigie di lui nelle latrine o nei lupanari ; — quale gradazione penale, qual fecondo soggetto di meditazione, quale scuola pei popoli!
      Ma fu detto ben giustamente che la esperienza, maestra sapientissima, non ha discepoli che ne apprendano gli insegnamenti. Le crudeltà colle quali gli imperatori romani cercavano di farsi largo attorno al trono, temendo in ogni atto un tentativo per rovesciarlo, furono ripetute secoli dopo, quando i principii della civiltà cristiana pareva le avessero rese impossibili. In quella Inghilterra, che noi siamo abituati a considerare come modello in ogni cosa che tenga all'ordine politico, regnarono leggi di ferocia draconiana contro chi non solo tentasse un moto rivoluzionario, ma ne avesse l'intenzione soltanto. I tempi di Enrico Vili soprattutto sono pieni di esempi a tal proposito. Ma quella nobile nazione non fu arrestata per certo nella sua via, per la quale venne nel secolo xvui a presentarsi modello invidiato alla restante Europa. Dopo lo scoppio politico-religioso che costò la vita a Carlo I, una crisi, che durò una generazione, partorì all'Inghilterra una nuova rivoluzione, la grande, come colà è chiamata, e su essa è foudata tutta la forza, la prosperità, la quiete politica del paese. Così che il principio della resistenza popolare (così la chiama il Brougham) divenne cosa essenziale alla Costituzione inglese, per conservare la quale è riguardata come necessaria la possibilità di ricorrere sempre a codesto estremo; — estremo che, senza dubbio, solo con prudenza si risolvono ad abbracciare, ma che il popolo riguarda tuttavia come un rimedio da tenersi pronto pei casi urgenti, una garanzia alla quale ei può e vuole ricorrere tante volte quante i suoi reggitori glielo rendano necessario per la propria difesa.
      Senza arrestarci a far l'esame delle leggi puni-trici degli attentati rivoluzionarii, leggi dettate ora dalla rabbia dei partiti, ora dalla trepida paura dei dominatori, ora dalla superstizione arrogante dei sacerdoti ; senza abbandonarci alle notissime declamazioni degli umanitarii, od alle scene cacciate di scuro dai romanzieri, vogliamo far qualche confronto a cotesto riguardo fra le legislazioni presentemente in vigore.
      Fino a pochi anni sono la pena di morte dominava fra quelle comminate contro i tentativi di cangiar forma al governo dello Stato. E non i soli tentativi, ma la stessa cospirazióne non seguita da verun atto colla quale fosse cominciata ad eseguire, era punita di morte: i Codici francese, sardo, belga, napoletano avevano uniformi disposizioni a tale oggetto. La rivoluzione del 1848 produsse l'abolizione della pena di morte pei reati politici in Francia; il rinnovamento italiano dal 1859 in poi accomunò a quasi tutta la penisola una legislazione più mite; distinto il tentativo dalla semplice cospirazione, I quello è punito coi lavori forzati a vita, questa coit^ooQle


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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume XIX (parte 2)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1885 pagine 1280

   

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