Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
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ROMAnenti le medesime che non si poooo spiegare. La cognizione che ne abbiamo è tratta da Varrone (L. Z., § 45) principalmente, da cai rilevasi che erano: 1. Suburana, i confini della quale non si possono precisamente determinare, ira cbe abbracciava il monte Celio, la valle del Colosseo, e parte della via Sacra, quella porzione 0. della lingua S. dell'Esquilino (mons Oppius) conosciuta col nome di Carine (Carina), di Ceroliense (Ceroliensis), che sembra essere stata la valle o parte della valle tra l'Esquilino e il Celio, e la Subura o valle al N. dell'Oppio. — II. Esquilina oEsquilie (Esquiliae), che comprendeva la più piccola o lingua N. dello Esquilino (mons Cispius) ed il suo dosso fino al terrapieno di Servio, e fors'anche il dorso E. dell'Oppio. — III. Collina, detta cosi dal collegamento delle alture del Quirinale e Viminale, cbe chiama-vansi colli (colles), a differenza delle altre, che ap-pellavansi (montes). — IV. Palatina o Palaeao (Palatina, Palatium), che abbracciava cotesto monte coi suoi due contrafforti, Veglia ( Velia) e Germalo (tìermalus). Se si confrontino cotesto regioni colla mappa di Roma, scorgonsi a prima giuuta parecchie considerevoli lacune; cosi per esempio, vi mancano intieramente il monte Capitolino colla valle all'È, (il Foro), e la valle al S. (Velabro e Foro Boario) insieme coll'Aventino. Codesta distribuzione aveva per base le cosi dette cappelle argive, istituite probabilmente da Numa, e sparse in ventisette parti della città, in onore dei capitani cbe si erano recati a Roma coli'Ercole Argivo e vi avevano posto stanza sulla collina Saturnia. Sembra che il Settimonzio (Septimontium) anch'esso avesse qualche relazione con cotesto cappelle argive e colle ripartizioni della città fatte da Servio. Duplice fu il significato del vocabolo Settimonzio, perchè indicava tanto il complesso dei sette monti su cui ergevasi Roma, quanto anco una iest&iSeptimontialesacrum. Svet., Dom., 4) che celebravasi iu memoria delle tradizioui che vi si collegavano. Il dotto Becker è d'avviso che simile festa non fosse già una festività propriamente cittadina, ma si riferisse piuttosto alle tradizioni relative alla ubicazione di Roma, lunga pezza pria che fosse dessa stata fondata. Coufferma la sua congettura con un passo di Varrone, e poi con un altro di Festo, in cui dicesi che un popolo di Reate [Rieti), detto i Sacrani, aveva discacciato dal Settimonzio i Liguri ed i Siciliani, ed aggiunge purancoun passo di Servio per provare che ì Siciliani occupavano un di l'area di Roma, che ne furono espulsi dai Liguri, e questi infine dai Sacrani. Gli è più che probabile essere state in voga somiglianti oscure tradizioni, e se Numa istituì una festa alle medesime relativa, gli è certo che le assunse per base del suo decreto, per quella guisa che aveva istituito le cappelle argive ed i ventiquattro fantocci, a ricordo dei condottieri argivi e dell'abolizione per opera di costoro dei sacrificii umani. Ma la festa era propriamente una fes
ta cittadina, e certo posteriore a Romolo, dacché p
arecchi dei nomi dei luoghi in cui celebra vasi non erano noti avanti l'età di Romolo. Ritornando ora al primo significato del Settimonzio, soggiungeremo che le mura di Servio inchiudevano nel loro recinto un gruppo differente di sette monti, che furono considerati
dai Romani posteriori come costituenti il vero ed effettivo Settimonzio, composto dei monti Quirinale, Viminale. Esqmlino, Celio, Aventino, Capitolino e Palatino (Becker, Eandb., p. 124-25; Varr.,Z.L., v, § 41, 50-54; Fest., p. 321, 348; Serv. ad JEn., xi, 317). Tarquinio Suberbo, successore del fin qui rammentato Servio Tullio, e settimo ed ultimo re di Roma dal 534 al 509 av. C., sembra essersi ado-prato ben poco all'aumento della città, limitandoli a compiere o perfezionare i lavori de' suoi predecessori. Il più importante tra essi si fu il tempio di Giove Capitolino, di cui parleremo fra breve. Espulsi nel 509 i Tarquinii, i Romani ripresero il possesso del Campo Marzio, ch'era stato usurpato dai medesimi, nè vollero profittare del grano di cui era pieno, ma lo segarono e gettarono tutto nel Tevere; e tale e tanta ne fu la copia, giusta la leggenda, che ne sorse un'isola, nota poi col titolo di isola Tiberina o di Esculapio (Liv., n, 5; Dionys., v, 13; Plut., Pubi, 8). Da cotesta epoca in poi fino all'espugnazione della città per le torme dei Galli, nel 390 av. C., ossia per il corso di cento-vent'anni, poco o nulla vi è di notevole per la storia del suo sviluppo. Dopo la terribile battaglia di Allia, fiumicello cbe si versa nel Tevere sulla spondasiuistra. a 18 chilometri circa al N. di Roma (oggi forse Scolo del Casale, anche Fonte di Papa), nell'auuo ora citato, i Romani, presi dal più gran terrore, eransi smarriti d'animo; la città era stata abbandonata al suo triste destino, insieme coi suoi più vecchi abitanti; molte famiglie eransi ricoverate a Vejo ed in altre finitime città, mentre gli uomini atti alle armi occupavano il Campidoglio, cbe preparavansi a difendere. 1 Galli entrarono nondimeno nella città senza incontrare opposizione, e proprio per la porta Collina, bella ed aperta, e ne rimasero padroni da sei ad otto mesi (Liv., v, 40, 41 ; Val. Max., i, 1, § 10 ; Varr., L. L., v, § 157; Polyb., ii, 22; Fior., i, 13; Plut., Cam., 30; Serv., ad JEn., vili, 6ó2). Appiccarono essi il fuoco alla città, ed in altri modi la devastarono, ma forse non si devono prendere alla lettera le parole di Livio ed altri scrittori che narrano di una totale distruzione, rilevandosi dallo stesso Livio che la Curia Ostilia fu risparmiata (l. c., 55); e pare probabile che i Galli abbiano conservate non pocbe case a proprio. Gii è certo però che la rovina fu ingente, dacché altrimente non avrebbero i Romani discusso il progetto di emigrare a Vejo; e se ne sarebbero iti se Camillo non li avesse dissuasi colla massima energia dalla disperata risoluzione. Ma l'urgente necessità di nuovi edifizi, da fabbricarsi colla massima fretta, riuscì fatale alla bellezza ed al regolare ordinamento della città. I cittadini cominciarono fabbricare alla rinfusa, ed i materiali, concessi a spese dello Stato, venivano somministrati a patto soltanto che le case dovessero essere terminate entro un anno. Non vi fu disegnata una pianta; ciascuno fabbricava a suo beueplacito, le linee primitive delle vie furono trascurate e vennero edificate delle case perfino sopra le cloache. La città per conseguenza, da
questa epoca iu p
oi fino a quella di Augusto e forse ad altra posteriore, ossia per quattro secoli, somigliava nella saa sistemazione, giusta l'espressiva sentenza
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Varrone Celio Colosseo Sacra Esquilino Oppius Carine Carina Ceroliense Ceroliensis Esquilino Celio Subura Oppio Esquilie Esquiliae Esquilino Cispius Servio Oppio Quirinale Viminale Palaeao Palatina Palatium Veglia Velia Germalo Roma Capitolino Foro Velabro Foro Boario Aventino Numa Roma Ercole Argivo Saturnia Settimonzio Septimontium Servio Settimonzio Roma Septimontialesacrum Dom Becker Roma Varrone Festo Reate Rieti Sacrani Settimonzio Liguri Siciliani Servio Siciliani Roma Liguri Sacrani Numa Romolo Romolo Settimonzio Servio Romani Settimonzio Quirinale Viminale Celio Aventino Capitolino Palatino Becker Eandb Varr Fest Serv Suberbo Servio Tullio Roma Giove Capitolino Tarquinii Romani Campo Marzio Tevere Tiberina Esculapio Liv Dionys Plut Pubi Galli Allia Tevere Roma Scolo Casale Fonte Papa Romani Vejo Campidoglio Galli Collina Liv Val Varr Polyb Fior Plut Cam Serv Livio Livio Curia Ostilia Galli Romani Vejo Camillo Stato Augusto Esquilina Collina Palatina Svet Tarquinio
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