Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
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cessivamente anche da Nerone e da Trajano, e costui la fissò anzi a soli venti metri (Aur. Vici, Epit., c. 12). Ciò nonostante le case continuarono ancora ad essere eccessivamente alte, come rilevasi dai lamenti di Giovenale, all'età probabilmente di Domiziano, sullo scorcio del primo secolo dopo Cr., e pericolose egualmente nei casi d'incendii o rovine, specialmente per un povero poeta, cbe abitava proprio in una soffitta. Strabone, recatosi in Roma du- . rante il dominio di Augusto, ci lasciò della vasta metropoli una brillante descrizione; ma sembra cbe sotto lo stesso imperatore la parte antica della città, tranne le adjacenze del Foro e del Campidoglio, non presentasse il più gradevole aspetto (Strab., v, p. 235 236). Nè poteva essere altrimente, attesa la strettezza ed irregolarità delle vie, conseguenza necessaria della fretta con cui era stata rifabbricata dopo la summentovata sua distruzione per opera dei Galli, come ne fanno fede Livio (v, 55) e Tacito (Ann., xv, 38).
Incendio Neroniano: opere monumentali dello stesso e de' suoi successori. — Unico rimedio contro cotesto informe accozzamento ed agglomeramento di edifìcii pubblici e privati diventava necessariamente la demolizione di molti di essi, e questa si effettuò cogl'incendii. Reguante Tiberio, successore immediato di Augusto, dal 14 al 37 davanti Cristo, ne scoppiò uno che distrusse tutti i fab bricati del monte Celio; ma fu poca cosa in confronto di un altro cbe si manifestò circa venti anni più tardi, ed è famoso nella storia di Roma col titolo d'incendio di Nerone (V.). Non si può negare nondimeno che tra i ruderi nou siasi aperto un vastissimo spazio, che prestatasi a tutti i miglioramenti edilizi. Nerone ne profittò incontaueute, decretando che la città venisse rifabbricata secoudo una pianta regolare, con larghe vie, ampie piazze e case meno alte. Tutti gli edifizi vennero isolati, e fabbricati in parte con pietre delle cave di Albano e Gabio (specie dura e compatta di tufo vulcanico, comunemente peperino e travertino), resistenti più cbe mai al fuoco, ad infrenare il quale furono stabiliti in ogni augolo grandi depositi d'acqua ; ed a scemarne i pericoli, le facciate delle isole furono adorne di portici a spese dello stesso Nerone, che somministrò inoltre danaro ai proprie tarii per le loro fabbriche, determinando il tempo entro cui dovevansi condurre a termine (Tacit., Ann., xv, 38-43; Svet., Nero, 38). Risorse per tal guisa Roma per la seconda volta dalle sue ceneri, sotto forme assai più splendide ed eleganti. Il nuovo palazzo dell'imperatore non si denominò più la casa transitoria o provvisoria, ma bensì la casa aurea (domus aurea), e corrispose benissimo all'aumentata magnificenza della metropoli, avendo all'in torno ampii parchi e giardini, pieni di animali selvaggi, che vi rinvenivano solitudine e deserto nel bel mezzo della città; un vasto lago circondato di grandi fabbriche riempiva la valle, in cui fu poscia inalzato l'anfiteatro Flavio; il palazzo poi era di tanta estensione, che aveva un triplice portico da 330 metri; ergevasi nel suo vestibolo una statua colossale di Nerone, alta 38 metri ; le soffitte erano a lavoro d'intarsio, indorate le camere e tempestate di gemme e madreperle ; le terme davano incopia acqua dolce e salsa. Condotto a termine cotesto magnifico alloggio, Nerone si degnò di onorarlo della sua approvazione, ed ebbe a dire che cominciava alfine starsene alloggiato da uomo (Sve-ton., Nero, 31 ; Mart., De speci2). I due predecessori di Nerone, Caligola e Claudio, non avevano contribuito di troppo al miglioramento della città, e la dominazione turbolenta de' suoi tre immediati successori, Oalba, Ottone e Vitellio, sebbene della breve durata di un solo anno, si adoprò assai più a distruggere che ad edificare. Caligola aveva posti in opera, a dir vero, alcuni dei disegni di Tiberio, e Claudio fece terminare due acquedotti e fabbricare varie belle fontane, mentre dulie faziose lotte tra Ottone e Vitellio uscirono alquanti tristi che incendiarono il Campidoglio (Svet, Cai., 21 ; Claud., 20). Alla morte di Vitellio, nel 69 dopo Cristo, sali al trono Vespasiano, e fu bene accolto dai Romani per il rispetto che portava alle libertà civili, e per le cure che prodigava al ristauro ed abbellimento della città. Circoscrisse di bel nuovo i limiti del palazzo imperiale entro i confini del Palatino, e nel si
to del lago di Nerone fu eretto un vastissimo anfiteatro, le cui rovine destano ancora meraviglia; fondò inoltre il tempio della Pace presso il Foro, e quello di Claudio sul monte Celio. Tito, suo successore dal 79 all'81, prosegui i lavori del padre a benefizio del popolo, e destinò gran parte dei primitivi orti imperiali sul-l'Esquiliuo all'erezione di pubbliche terme (Svet., Tit., 7, 8; Mart., ih, 20, 15); ma per disgrazia, anche durante il suo impero imperversò in Roma un incendio per tre giorni e tre notti, che ne con-Biinse gran parte. Cura precipua dell'imperatore Domiziano (81-96 dopo Cristo), si fu quella di riedificare il tempio di Giove Capitolino, ch'era stato di nuovo incendiato, spendendovi per le sole dorature esterne 12,000 talenti, ossia la ingente somma di 75,000,000 di franchi; fondò poscia una nuova piazza, che non fu terminata però che sotto Nerva, suo successore (96-98 dopo Cristo), da cui ebbe il nome (Svet., Dom., 5). Sotto Trajano, imperatore (98-117 dopo Cristo), fu costrutta l'ultima delle piazze romane, cui fu unita la basilica Ulpia (Dion. Cass., lx x, 4) ; ma l'apogeo delle opere architettoniche per Roma si fu probabilmente sotto il lungo impero del suo successore Adriano (117-138 dopo Cristo). Costui era predominato dalla passione di fabbricare, e diede sovente egli stesso i disegni delle fabbriche, i quali non erano però sempre del miglior gusto. I lavori più considerevoli fatti da lui eseguire furono il suo mausoleo sulla destra del Tevere, detto la mole Adriana (fig. 5731), ed oggi più comunemente il Castello Sant'Angelo; il tempio di Venere e Roma vicino al Colosseo, e la grandiosa villa, i cui ruderi si ponno ancora ravvisare non guari distanti dalla città di Tivoli (Spart, Eadr., 19; Procop., B. G., i, 22). I successori di Adriano dal 138 al 270 dopo Cristo, per il corso di 132 anni ben poco si ado-prarono per continuare l'opera dei precedenti imperatori, tranne Settimio Severo (193 211 dopo Cr.)t Caracolla (211-217), ed Alessandro Severo (222-235), dacché in questo periodo manifestavanai di già per Roma i sintomi della decadenza e, delle
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