Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      m ROMAdopo Cr., pare cbe i Romani intendessero assai più a conservare che ad abbellire la loro città, la quale, visitata da Costanzo li nel 357 d. Cr., onore che da trentadue anni non erale stato impartito, potè ancora far pompa delle prische sue glorie, di cui ci tramandò una brillantissima descrizione il Marcellino Ammiano (xvi, 10). Ma nè Costanzo nè i suoi successori seppero far si che le irruzioni barbariche non minacciassero Roma, e solamente Onorio, già da noi mentovato, intese di scongiurarle col ristauro delle mura di Aureliano, ma non impedì le devastazioni dei preziosi monumenti, perchè, lui imperante. Stilicone fu il primo a porre le mani rapaci sul Giove Capitolino, strappando le auree lamine che oruavauo le porte, e leggendo nello strapparle le memorabili parole sottoposte: misero regi servantur. E fu ben misero Stilicone, che facendo da re ed imperatore eotto il fiacco Onorio, fu per costui comando trucidato come sedizioso e ribelle in Ravenna; ma la triste sua fine non distolse gli altri dalla rapina dei sacri e ve- j tusti monumenti di Roma; e si può a buon diritto j affermare che i Romani stessi furono i devastatori principali della loro propria città, presa poi orribilmente di mira dai barbari. Primi fra costoro i Goti, capitanati dall'impavido Alarico, dopo due arsedii o piuttosto blocchi, nel 40S e 409 d. Cr., presero di assalto la terza volta Roma, nel 410 dopo Cristo, ossia 1163 anni dopo la sua fondazione, e ferocemente la saccheggiarono; immane sciagura da cui fu incolta per la prima volta l'eterna città dopo la cacciata dei Galli uel 390 av. Cr., ossia dopo otto intieri secoli di vita autonomica e libera, senza che alcuno straniero osato avesse di porvi piede e dominarla. Pare nondimeno che il gotico saccheggio non abbia recato danni gravissimi alla città, da cui sgombrarono il sesto giorno, e tutto il guasto che sembrano aver cagionato, si fu di aver appiccato il fuoco ad alcune case presso la porta Salaria per cui erano entrati, il quale si dilatò sfortunatamente, e distrusse l'attiguo palazzo di Sallustio (Procop., B. V., i, 2). Circa un secolo più tardi, imperante Petronio M&88itfio, Roma fu di bel nuovo presa e saccheggiata da Genserico re dei Vandali, nel 455 d. Cr., per quindici interi giorni, ma il maggior guasto cagionato ai monumenti si limitò alle curiose tegole di bronzo dorato che coprivano il tempio di Giove Capitolino (tò.,5). Era stato questo rispettato dai cristiani, anche dopo abolito il paganesimo; ma pur troppo due soli auui posteriormente alle devastazioni vandaliche cominciarono quelle dei cristiani, i quali, per soverchio amore al cristianesimo ed odio eccessivo al paganesimo, demolirono alcuui tempii di questo, lasciando che altri, non convertiti in chiese cristiane, miseramente minassero o venissero trasformati in cave di pietre. Se ne commosse ed indegnò l'imperatore Majoriano (457-461 d. Cr.), e subito nel primo auuo del suo dominio emanò un severissimo editto, per cui era riservata all'imperatore ed al Senato soltanto la facoltà di ordinare la distruzione di un antico edifizio, pena la multa di 50 libbre d'oro (50,000 franchi) per qualuuque magistrato che accordato avesse il permesso di simili dilapidazioni, e la frusta ed amputazione di ambe le
      mani per qne* funzionarli subalterni che si fossero immischiati nella bisogna tNov. Majortit vi, p. 35). Nel 472, imperante Olibrio, Roma fu per la terza volta presa e saccheggiata da Rictmero, il facitore e disfacitore degl'imperatori d'Occidente; ma pare che neppure cotesto infortunio, come i due succitati, non bastò a distruggere ogni pubblico monumento. Queste venerande reliquie dell'aurea gloria di Roma furono l'oggetto di speciali cure da parte dell'ostrogoto Teodorico, re d'Italia coll'epiteto di Grande (493-526 d. Cr.): e non tia qui inopportuno l'avvertire che i re goti, accusati cotauto a torto della devastazione delle cose antiche, si adoprarono con ardore a conservare i monumenti della nazione che avevano soggiogata. I regii editti erauo diretti a prevenire gli abusi, la noucurauza o le depredazioui degli stessi cittadini; e per i ristauri ordiuarii delle mura e dei pubblici edificii si era provveduto colla nomiua di un esperto architetto, coll'assegno dell'annua somma di 200,000 franchi. 25,000 tegole e la percezione dei dazi del porto Lucrino; le stesse cure prodi-gavansi alle statue metalliche o marmoree di uo-miui ed auimali. La vivacità dei cavalli, da cui ebbe il moderno nome di monte Cavallo l'antico Quirinale, fu applaudita dai barbari; gli elefauti di bronzo della via Sacra furono diligentemente ristaurati; la famosa vacca di Mirone traeva in inganno gli armeuti quando venivauo questi condotti per il fòro della Pace ; e fu creato un apposito uffiziale per preservare queste opere di arte, considerate da Teodorico come l'ornamento più nobile del suo regno (Gibbon, Decline and Fall, voi. v, p. 21 ; Exeerpt. de Odoac. Theod., 67). Dalle lettere di Cassiodoro (V.), segretario di Teodorico, rilevasi che Roma non avea tutto perduto dalle tre irruzioni barbariche, se^dovi rimasto illeso il Circo Massimo, in cui celebravansi allora pure i giuochi circensi; intatti le terme e gli acquidotti, ed intatto anch' esso l'acquidotto di Claudio, che non cessava di agire, scaricandosi alla cima dell'Aventi uo, come se fosse una valle (Cassiodor., Variar., ni, 51; vii, 6). Che gli acquidotti fossero interi, apparisce anche da Procopio (B. G., i, 19), il quale asserisce che nell'assedio susseguente sotto Vitige, i Goti li spezzarono per togliere l'acqua agli abitanti. I teatri avevano sofferto aoltauto dagli effetti del tempo, ed erauo stati ristaurati da Teodorico (Ca88iod., ib.. iv, 51). Nel 536. soli dieci auni dopo la morte del Grande Teodorico, il terzo de'suoi successori, Vitige, prode guerriero, mosse contro Roma, la quale venne munirà rapidamente di nuove fortificazioni da Belisario (V.), che ne ristaurò le mura crollate per la seconda voltar vi costruì regolari bastioni, tirò una catena attraverso il Tevere, fece fortificare gli archi degli acquidotti, e convertì la mole Adriana iu fortezza, non toccaudo per nulla la parte del muro tra le (>orte Flaminia e Piucia, detta il muro torto, perchè e Goti e Romani la consideravano sotto la proiezione particolare di Sau Pietro (Procop., B. G., i, 14). Vitige non desistette punto dall'audace impresa, ma fece investire la città in sei lati, dalla porta Flaminia alla Prenestina, tenendo una settima divisione di armati presso il Vaticano per dominare il Tevere
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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume XIX (parte 2)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1885 pagine 1280

   

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