Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo

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      m ROMAsecolo tiiv tentarono i Romani di ristabilire un'om-bra di reggimento repubblicano a scapito del potere papale; ma durante questo periodo Roma fu costantemente molestata, ed ebbe a soffrire non pochi assedii dai Longobardi, capitanati dai loro re Luiiprando, Astolfo ed altri. A porre il colmo alle varie sciagure comparvero neli'846 i Saraceni, che le diedero un assalto, quasi che la già dominatrice del mondo fosse allora divenuta la meta favorita dei barbari, irruenti da tutti i punti del globo. I seguaci di Maometto saccheggiarono la chiesa di San Pietro, ed anche quella di San Paolo, fuori della porta Ostiense, senza che però fosse loro riuscito di entrare in città, essendo stati respinti per la vigilanza ed energia del sommo pontefice san Leone IV, che resse la cattolica Chiesa dall'847 all'855 d. C., riattò le antiche mura della sua metropoli, ristaurò quindici torri crollate, e rinserrò il quartiere del Vaticano, al quale imparti la sua benedizione ed il titolo di Città Leonina, ora Borgo di San Pietro (Anastasio, Vita di Leone 1V). Dopo questo notevole avvenimento trascorsero 229 anni senza che Roma venisse funestata da ostili incursioni, quand'ecco calare in Italia dalle nordiche terre l'jmperatore Enrico IV ed assediare l'eterna città per tre volte dal 1081 al 1084, finché da ultimo se ne impadronì per corruzione ; ma i ruderi del Settizonio, difesi dal nipote dell'indomato pontefice Gregorio VII, resistettero a tutti gli attacchi delle torme di Enrico; il che diede agio al papa di rinchiudersi nel Castel Sant'Angelo, ed invocare l'ajuto del suo vassallo Ruberto Guiscardo. All'appressare di questo bellicoso Normanno, Enrico si pose in salvo fuggendo, ma Roma sofferse assai più dalle mani de* suoi amici, di quello avesse mai sofferto dapprima dagli assalti de'suoi più accaniti nemici. I fautori del fuggito imperatore suscitarono un tumulto, ed i Saraceni dell'esercito di Roberto, spregiatori di entrambe le fazioni, la papale e l'imperiale, colsero incontanente quella circostanza per abbandonarsi alla violenza ed al saccheggio. La città fu incendiata; rimasero preda delle fiamme, in gran numero, gli edifìci! del Campo Marzio, ed anche esso il vasto tratto dal Laterano al Colosseo, che non fu mai più ripristinato (Malaterra, ni, c. 37; Donatus, tv, 8). Ma, ciò non ostante, Roma ha sofferto maggiori danni da' suoi abitanti che dalle mani degli stranieri, e le sue devastazioni e rovine devono addebitarsi principalmente alle civili discordie dei Romani, ed all'uso riprovevole fatto da costoro degli antichi monumenti, per soddisfare ad egoistiche cupidigie ed alla smodata brama di lucri. Le fazioni dei Guelfi e Ghibellini, dei Colonna ed Orsini, incominciate nel secolo x e durate sventuratamente più anni, devono essere state perniciosissime alla città, dacché, imperversando le medesime fra le più cruenti pugne, gli antichi edifici] furono convertiti in castelli, ed il numero esorbitante dei secondi può computarsi dal fatto che il senatore Brancaleone, durante la sua reggenza, dal 1252 al 1258, fece demolire in Roma e nei dintorni 140 torri o fortezze, propugnacoli saldi dei nobili; ma di già successivamente sotto papa Martino V (1417-1431), riscontransene 44,
      esistenti in nn solo quartiere della città. Sorgevano alcuni di questi sopra le più insigni fabbriche antiche, per esempio, sui monumenti trionfali di Cesare, Tito e degli Antonini (Paris, Bist. Maj.y p. 741 ; Montfaucon, Diar. ltal., p. 186; Anonym., ib., p. 285). Ma più distruttivi ancora furono i guasti prodotti sugli antichi edficii nei tempi di pace, in cni i costruttori di nuove fabbriche strappavano dalle antiche le belle scolture ed i membri architettonici che non potevansi copiare, per convertirli in pezzi di ornato. Vedemmo già che siffatto genere di spogliazione fu messo in uso fino dall'età di Costantino, il quale adoprò le sculture di qualche monumento dei tempi di Trajano per adornare il proprio arco trionfale. Nei tempi successivi, Carlo Magno fece asportare da Roma parecchie colonne per decorare il suo palazzo di Aquisgrana ; e sei secoli più tardi Petrarca si lamenta che fosse imitato lo stesso esempio da Roberto re di Sicilia, suo padrone ed amico (Sigebert., Chron. in Bouquet, Historiens de France, v, p. 378; Petrarc., Opp., p. 536). Si anderebbe all'infinito se si enumerassero qui le spogliazioni commesse dai papi e dai nobili romani per inalzare chiese e palazzi. Nel secolo xiv facevasi a fara dai Romani nel distruggere gli antichi, e fu persino stipulato un contratto fra i capi delle diverse fazioni da cni Roma veniva allora manomessa, in forza del quale fu dichiarato il Colosseo di uso comune per tutte indistintamente, affinchè i membri potessero scavarvi quante pietre loro bisognassero (Barthélemy, Mém. de YAcad. des Inscr., xxvm, p. 585; De Sade, Vie de Pétrarque, i, 328). Sisto V non risparmiò tampoco il Settizonio, valendosi delle pietre di questo per la fabbrica del tempio maestoso di San Pietro: i nipoti di Paolo III, della casa Farnese, papa dal 1534 al 1549, furono i distruttori principali del Colosseo, per fabbricare il palazzo che tuttodì Farnese si appella, ed uno dei più magnifici in Roma, dove si acquistarono fama proverbiale i nipoti di Urbano Vili, della famiglia Barberini di Firenze (1623-1644), a carico dei quali si ripete ancora la notissima formola: Quod non fé-cerunt Barbari, fecere Barberini (Gibbon, viii, p. 284; Muratori, Ann. d'Italia, xiv, p. 371; Greg. Leti, Vita di Sisto V, voi. in, p. 50). Nè ai guasti finora descritti limitavansi in Roma i cittadini di ogni classe e condizione, ma si aggiunse pur quello di convertire in calcina le più belle colonne di marmo. Il Poggio lamentavasi più che mai nel 1430 che il tempio della Concordia, il quale esisteva in quasi tutta la sua integrità quando egli per la prima volta erasi recato in Roma, fosse scomparso quasi per trasformazione si biasimevole (Pogg., De var. fort., p. 12). Gli fa eco il celebre Silvio Picco-lomini, poscia Pio II, papa dal 1458 al 1464, coi seguenti due distici:
      Sed tuus hic populus, muris de fossa vetustis, Calcis in obsequium marmora dura coquit.
      Impia tercentum si sic gens egerit annos Nullum hic indicium nobilitatis erit.
      (In Mabillon, Mus. Ital., ì, 97).
      Non si può descrivere esattamente il triste progresso della desolazione di Roma, mancandoci let^ooQle


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Nuova Enciclopedia Italiana - Volume XIX (parte 2)
Dizionario generale di scienze lettere industrie ecc.
di Gerolamo Boccardo
Utet Torino
1885 pagine 1280

   

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