Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
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Haiti kamde geirutn gotna Kraki framde cirum flotna Neiter brodda endist stale Hreiter hodda brendist baie,
e allora n'esce questo senso: < Haki feri gli uomini colle freccio : Kraki blandi gli uomini col danaro ; le fiamme divorarono quel cbe dava abiti di seta; questo re, beato del suo oro, fu ferito dall'acciajo.
« Haki domò gli uomini colla spada: Kraki arricchì i marinai coll'oro: quei che portava l'acciajo acuto peri d'acciajo: quei cbe spargeva oro peri di fuoco ».
Le Saghe furono scritte coi caratteri runici, altro mistero, sopra il quale si discorse a suo luogo.
Le Saghe erano composte dagli scaldi, che non erano cantori girovaghi come i rapsodi greci e i trovadori provenzali e i Minneslngeri tedeschi (V.), bensì diplomatici, ambasci adori, gente di Corte e di diplomazia, istrutti di quanto si sa o si fa, partecipi ai consigli come alle mense dei re. Vi manca ogni imitazione, ogni rimembranza di stranieri ; e non che vedervisi, come da noi, una coorte o una generazione intera affollarsi sulle orme d'un genio, la poesia non ha reminiscenze che la traviino dallo scopo, nata per quella nazione, isolata da contatto straniero sì per la natura del paese, sì perchè ignorava i vicini.
E capolavori di letteratura nacquero così fra un popolo che si rassegnava a quell'arido e rigido paese, vivea di pesca e di traffico minuto, ma che pure coltivava la giurisprudenza, la storia naturale, le matematiche.
Il primo scaldo che si rammenti è Thorwald Hialteson, poeta di Erico il Virtuoso re di Svezia: l'ultimo fu Sturle Thordson, che scrisse un poema in onore di Birger Jarl, e la Sturlungasaga, storia dell'Islanda e della propria famiglia. Rammenteremo Erpur Luitand, che per ribellione condotto al patibolo, prese a cantar un poema in lode del re Huud, e tanto piacque, che popolo e soldati a gran voce ne impetrarono il perdono. Non mancarono poetesse, e fra tutte ebbe il vanto laguna Seimund.
Lo scaldo Egil aveva perduto il figlio Gunnar, quando il primogenito Bandvar naufragò. Il misero padre, trovatone il cadavere, lo trasportò sul proprio cavallo fin alla collina di Skalagrim, e fatta aprir questa, ve lo depose. Portava calzari assestati e una giubba rossa, stretta in alto e allargata sui fianchi; e il sangue circolò sì violento, che ne scoppiarono i calzari e la giubba. Tornato in casa, si serrò in camera e coricossi, e non era chi ardisse fargli motto. Così durò tre giorni senza prender cibo; al terzo, Ausgerda sua moglie mandò un servo a cavallo a Torgude, figliuola prediletta d'Egil e questa venne. Interrogata dalla madre se avesse ancora cenato, alzò la voce e disse : — Non ho assaggiato pane, e più non ne mangierò, ch'io non sia giunta nel soggiorno di Freia». Poi pregò il padre ad aprirle « perchè voglio che insieme facciamo questo viaggio ». Egil la tolse dentro, e Torgude si gettò supina sull'altro letto. — Bene sta, figlia mia, ohe tu voglia esser compagna alpadre; gran prova di tenerezza. — E come (disse ella) potrei io sopravvivere a tanto affanno! > E stettero muti alcun tempo, indi Egil ripigliò: - Vuoi tu ristorarti di qualche cibo, figlia mia? — Mastico alga marina, sperando così accorciar una vita che inorridirei di vedere prolungata ». Così la giovane; e il padre: — È veleno? — SI, e potente; ne vuoi tu, padre? » E il padre ne prese. Poco dopo Torgude domandò a bere e ne esibì al padre ; ed egli prese un corno, e trangugiò d'un tratto il liquore oude era colmo. — Ah, noi fummo ingannati (esclamò Torgude); quello era latte! » Egil ne fremette, e diè di morso al corno, e Torgude ripigliò: — Or cbe fare poiché il nostro intento falli? Vita ci avanzerà abbastanza perché tu possa fare un canto sopra Bandvar, ed io intagliarlo sopra nn bastone ». Egil vi ai provò, e man mano che il componimento progrediva, lenivasi il suo dolore, e l'animo tornava sereno; e compiuto che l'ebbe,lo recò alla famiglia, sedette nell'alta sua seggiola, compose la bevanda del lutto che suole mescersi alla memoria degli estinti, e rimandò Torgude alla casa maritale carica di doni.
La raccolta delle Saghe antiche chiamasi Edda(V.), voce derivata da radice che significa nonna;oppure da odde., terra di Samund,o da Odr, sapienza,canto, o da (Edi. insegnare. Tale raccolta credesi fatta da Saemound Sigfuson nell'xi secolo. Era un prete cristiano, e par poco verosimile che volesse raccogliere le tradizioni mitologiche, poco dopo introdottovi il cristianesimo, senza lasciarvi pur una nota di disapprovazione o innestarvi alcun sentimento cristiano. L'Edda antica si smarrì, nè fu più trovata cbe liei 1643; ma Snorre Sturieson, grammatico islandese del 1200, ne avea fatto un sunto in prosa, in tre parti. La prima contiene la mitologia antica, la seconda, Saghe estratte da quattordici scrittori, che costituiscouo un corpo di storia fino al 1178, donde fiuo al 1263 fu continuato da Sturle Thordson, poi da un innominato. La terza parte (Kalda) è un vocabolario di frasi, o una specie di arte poetica e metrica sopra antichi modelli, ove sono citati d& ottanta scaldi, fra cui principi e regnanti.
I sentimenti fieri, le immagini aspre, atroci che le reggono, si scostano troppo dal sentir nostro: e quand'anche occorrono fantasie ardite, espressioni vigorose, concetti veramente poetici, souoat-viluppati in allusioni tanto vaghe, in costumanze tanto disparate dalle nostre, che il lungo commento opprime l'immagiuazione prima che germogli il diletto. Nel Vafthrudnismal, lo jote o gigante Vaf-tbrudnir, uno degli esseri cbe dal principio delle cose possedevano la sapienza, dà ospitalità a Odino sconosciuto, e gli propone una lotta di dottrina, dove il vinto perde la testa. Il gigante moltiplica interrogazioni al Dio sopra la mitologia, cbe subito gli sono sciolte ; il Dio enigmi al gigante, che tutti li spiega, tranne l'ultimo, pel quale si confessa vinto e perde il regno. Nel Lokaseuna, gli Dei sono raccolti a banchetto da Agir, ove Lok, genio del male, indispettito di non essere stato invitato, viene ad apostrofare ciascuno, svelandone le colpe colla sfacciataggine del Moino di Luciano, finché Tbor, dio della forza, arresta quella malignità col minacciarlo del terribile suo martello.
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