Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
SANIE o MARCIA -
SANKIA FILOSOFIA
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SANIE o MARCIA (patol.). — Nome dato al prodotto dell« Suppurazione (V.).
SANKARA (biogr. e reltg. ind.). — Uno dei più famosi teologi dell' India, che la leggenda pone nel secondo secolo prima di Cristo, ma che, secondo Wilson, vuole essere assegnato al 9° o 10° dopo Cristo. Fondò la setta dei Dasnami-Dandin. Fra le sue opere sono celebri i commenti al Vedanta, al Baqavadgita e agli Upanisadi.
SANKIA FILOSOFIA (stor. della fil). — Un secolo addietro sarebbe parso paradossale chi accennasse altri sistemi filosofici, in fuor di quelli che ci tramandò la Grecia, dorè parve che soltanto il pensiero acquistasse conoscenza di sè, e costituisse scuole. Ma dopoché gl'Inglesi s'impadronirono delle Indie, come vi trovarono poemi anteriori di gran pezza ad Omero, e drammi e liriche di altra forma, non di bellezza men notevole, vi scopersero anche libri filosofici, che eccitarono il sospetto non fossero noti anche ai Greci, i quali di là attingessero.
Non appena la fede più non assorbe tutte le convinzioni, l'uomo cerca coll'esercizio del proprio intelletto spiegare i grandi problemi che gli s'affacciano: esisto io veramente? esistono le cose che feriscono i miei sensi ? o non è cbe illusione tutto quanto mi circonda? Come comprendo io questo spettacolo dell'universo? chi l'ha disposto? il caso o una potenza suprema? e questa creò tutto dal nulla? o tutto emana da essa; o forse io non vedo che lei medesima, trasformata nei varii fenomeni?
10 stesso sarei forse un mero fenomeno ? e Dio, il mondo, il mio sentimento, ii giudizio, l'anima, non siamo che una cosa sola? Ma quell'essere da cui tutto o emana o fu creato, dove sta; com'è? poss'io conoscerlo, avvicinarlo, possederlo? Ed io doude vengo? ove vo? devo secondare l'impulso del mio talento, o frenarmi secondo una legge di doveri? e questi doveri li traggo da una volontà esterna, o dal sentimento mio o dall'ordine delle cose? E
11 male perchè vi è nel mondo? se Dio è buono, perchè lo permette ? se è malvagio, com'è Dio? O forse due principii diversi e lottanti cagionano il male e il bene? o forse Dio creò buona ogni cosa, che poi tralignò, e il male apparente non è che un'espiazione, un preparamento a giorni migliori?
Parlando della Filosofia (V.) si accennarono le varie maniere con cui l'uomo cerca di scientificamente conoscere le cause prime, le ultime leggi della natura e della libertà, e le reciproche loro relazioni; or dubitando, or asserendo, ora negando; e modificato dalle credenze religiose, dai costumi e dalla costituzione del paese, dal carattere personale del filosofo, ne derivò quella catena di errori e di verità, la quale pure, come sostenemmo per le Religioni (V.), richiede un primo vero al quale attaccarsi ; un vero, antecedente e superiore a discussioni, a patti, a scienze umane.
Ogni metodo abbraccia tre termini: il mondo, la ragione, Dio. La ragione non distingue se stessa e si confonde coi sensi o con Dio? ecco il sensismo o il misticismo. Distingue sè sola, senza riconoscere le restanti cose? è idealismo. Nega non solo Dio e la ragione, ma anche se stessa? è scetticismo. Non paja fuor di luogo richiamar qui ciò che forse non abbastanza fu svolto nell'articolo Filosofia. E Nuova Encicl. Ital. VoLnon si dica che le sono quistioni oziose. Ciascun sistema dà alla vita un differente scopo supremo, e quindi reca una pratica differente: il sensismo la riduce alla materialità; l'idealismo al pensiero; il misticismo alla contemplazione di Dio; lo scetticismo all'inazione; talché la pratica diviene la misura e il giudice di tutti i sistemi.
La filosofia indiana si divide in sei sistemi, che vanno a coppia in modo, che dove l'uno finisce comincia l'altro, a guisa di sviluppo e continua-mento, o di trasformazione. Onde può dirsi che alla soluzione di quei problemi l'immaginoso pensiero indiano camminasse per tre vie: una prende le mosse dalla natura, una dall'atto più intimo della intelligenza, cioè il pensiero; una dalla rivelazione.
Tra queste ha primo luogo la filosofia Sankia, di cui soltanto or ragioniamo. Ne fanno autore Capila, che dovrebbe essere contemporaneo di Enoch, sicché presenta la filosofia del mondo primitivo. Sankia vuol dir numero, ed è cosi intitolata perchè vi sono enumerati per ordine i ventiquattro principii di tutte le cose, ponendo al primo posto la natura, al secondo la ragione universale. Suo assioma fondamentale è: « .Ciò che non esiste non può ricever l'esistenza per veruna operazione d'una causa qualunque ». Invece però di andare con ciò all'ateismo, ne deduce un emanatiamo, considerando le coso come tutte emananti dalla causa eterna. Ma questa è doppia; ossia contemporanea-meute esistono la natura e lo spirito indefinito. Probabilmente da principio non s'intendevano con ciò che spirito ed anima; spiritualismo primitivo, dalla cui corruzione e dalla sua mescolanza colla astronomia derivò un poetico politeismo. E la dottrina sankia andò affatto nel misticismo per opera di Patangiali, che inventò lo Joga, o perfetta unione dell'essere e de* pensieri nostri con Dio ; per mezzo della quale l'anima resta emancipata dalla metem-sicosi. A ottener questo perpetuo scopo della filosofia indiana non servono medicina, distrazione, precauzioni, talismani, o altri qualsiansi mezzi temporali, nè tampooo le cerimonie religiose: ma è mestieri l'intima conoscenza e l'assidua contemplazione di Dio, la quale si fa col mormorar continuo la sillaba oum, e meditarne il significato.
Lo joghi, filosofo aspirante alla perfezione , ò un solitario penitente, che, assorto in mistiche contemplazioni, rimane immobile anni interi al posto medesimo. Nel dramma della Sacontala, re Dusmanta chiede ad un birocciajo dove sia il santo ritiro di colui che cerca; e questi gli risponde: « Va oltre quel bosco sacro, colà dove scorgi un pio joghi, coi capelli folti ed irti sulla testa, rimanere immobile, fissi gli occhi nel disco del sole. Osservalo ; il corpo suo è mezzo incrostato dell' argilla che vi depongono le termiti ; una pelle di serpente gli fa cintura alle reni; piante fitte e nodose gli si attortigliano al collo; e nidi d'uccelli coprono le sue spalle ».
Il lettore dovrà credere questa descrizione nulla più che un trovato poetico, finché non sappia che di siffatti son piene le foreste, i deserti, i contorni de'tempii dell'India. Già i seguaci d'Alessandro descrissero costoro, cibantisi pei boschi di radici, vestiti di corteccia d'albero, con intonse cappella* XIX. 70
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