Nuova Enciclopedia Italiana - Volume di Gerolamo Boccardo
Sanzio Raffaello
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somministrando i disegni e i cartoni a Frà Sebastiano, eccellentissimo coloritore, nella qual parte Michelangelo era veramente debole. Ma i due ingegni uniti non isgomentarono punto l'Urbinate: egli vi si cimentò, e l'esito coronò l'opera. Colloca alle falde del Taborre buon numero di discepoli, atteggiandoli ad espressioni adatte al loro carattere. Fa che loro sia presentato un fanciullo ossesso perchè ne scaccino il reo spirito; e nelle smanie di esso, e nella fiducia del padre, e nell'afflizione d'una giovane leggiadrissima, e nella compassione degli Apostoli dipinbe la più patetica storia che idear si possa. Nè tuttavia essa tanto sorprende quanto il soggetto primario che trovasi sopra il moute. Quivi i due profeti e i tre discepoli sono ammirabilissimi; ma più di essi il Salvatore, in cui par che si scorga quel candqre di luce eterna, quell'aria di divinità che deve beare gli occhi de' suoi eletti. Questo volto, in cui aduuò quanto sapea far di più bello e di più maestoso, fu l'estremo e dell'arte e delle opere di Raffaello. Per questo famoso dipinto, che però il Selvatico dice a torto esaltato come suo capo lavoro, venue pattuito il prezzo di 655 ducati di Camera, dei quali 224 furono riscossi da Giulio Romauo nella sua qualità d'erede. Il cardinale Giulio de' Medici, per cui fu fatta la Trasfigurazione, aveala destinata alla città di Narbona, di cui era vescovo. Ma morto Raffaello, non volle privare Roma di tanto capolavoro, e lo legò alla chiesa di San Pietro in Montorio, ove fu esposto nel 1522 dentro una cornice intagliata da Giovanni Barili. È noto che la Trasfigurazione fu portata a Parigi nel 1797, ove fu ripulita, essendo divenuta appena riconoscibile. Raffaello avea voluto dare risalto alla gloria del Cristo trasfigurato circondando di un chiaroscuri artificiale le figure inferiori: queste belle industrie perirono ben presto per il molto oscurarsi cagionato dal nero fumo di cui fece uso nel colorire le ombre. Tuttavia si ravvisa ancora qualche parte colorita eccellentemente, come dire la testa dell'apostolo Audrea, la testa e la spalla della fanciulla inginocchiata.
IV. Morte del grande artista. La Fornarina; suoi meriti non solo pittorici, ma anco architetto nici. — Codesto miracolo di artista, nel fior dell'età sopraccolto da violenta infermità ribelle ad ogui cura, mori addi 6 aprile 1520, nel venerdì santo, giorno della sua nascita, nella giovane età di trentasette anni, e fu sepolto nel Panteon.
Il Bembo dettò il seguente:
D. 0. M. Raphaeli. Sanctio. Joann. F. Urbinat. Pictori. emine» ti ss. veterumq,. cemulo Cujus. spiranteis. prove, imagineis Si. contemplerà Natura, atque. artis. fcedus Facile, insprxeris Julii. II. et Leoni. X. Ponti. Maxx.
Pictura. et architect. operibus tììoriam. auxit Vixit. an. XXXV 11. integer. integros Quo. die. natas. est. eo. esse, desiti Vili. id. aprii. MDXX llle. hic. est. Raphael, timuit. quo. sospite, vinci Rerum, magna, parens. et. moriente. mori.
La vita di Raffaello, che, pel dolce ed angelico carattere di lui, per le eccelse opere, e per quel perpetuo splendore di fortuna e di gloria che la circonda, è già di per se stessa tanto interessante, si fa ancor più cara per l'intervento d'una gentil creatura, che, quasi genio dell'amore, intrecciò colla sua la di lui esistenza. Questa è la Fornarina, bellissima forosetta, le cui sembianze egli eternò nella donna della Trasfigurazione, in più dipiuti di casa Chigi, ed in varii ritratti. I novellieri si sono serviti di lei per descriverci le più care posizioni dell'anima d'un artista: i maledici (infamia della letteratura!), inetti ad elevarsi ad uu pensiero che non sia sozzo e carnale, hanno fatto di essa quasi un incubo che succhiasse'il sangue al povero Raffaello; e non hanno mancato di accagionarla della morte di lui. Quasi che uno che iu si breve vita, in sì delicata complessione, avendo più di 350 composizioni eseguite, ad alcune delle quali non bastavano sei mesi di lavoro; dopo che da sei anni le era amico; dopo altrepassato il bollor di gioventù; dopo aver condotta una vita onestissima e ricca d'ogni bella ed onorevole azione, potesse, diciamo, dimenticar affatto se stesso, e spegnersi nella voluttà. Non dà certamente segno di languore mentale, frutto inevitabile degli stimoli violentati, chi può produrre una Trasfigurazione: non muore di malattia acuta, come pur troppo a lui succedette, ma di languore chi nella voluttà spegne la vitale favilla. Raffaello dicono abbia rifiutato da Leone X la porpora cardinalizia; e noi crediamo che abbia ben fatto: che per la Forna-riua abbia differito, non osando ripudiare, le nozze colla nipote del cardinale Bibbiena: ed in ciò lo lodiamo; chè a nostro avviso un animo candido non promette quello che presente di non poter mantenere. Fatto sta, che, quantunque il cardinale instasse per tale unione, la futura sposa morì prima di Raffaello, ed ebbe l'onore d'aver sepoltura non lontana da lui. Raffaello visse id Roma vita principesca: amato, venerato da tutti, non poteva muoversi senza un corteo d'artisti chiarissimi e di grandi personaggi che ambivano di fargli corona. Lasciò eredi del suo (prova, che la quantità de'lavori commessigli non fu poca cosa) i più diletti fra'suoi discepoli ; e la sua morte recò in Roma un dolore ed un compianto universale. Attestano i contemporanei che giammai nou s'era veduto un lutto ed un duolo cosi universale. E qui prima di chiudere il nostro articolo non dobbiamo pretermettere di avvertire, che dall'epoca del Maratta in poi nell'Accademia di San Luca in Roma si onorava un teschio creduto da tutti quello di Raffaello, sottratto dal resto del corpo, e religiosamente custodito; quando nell'agosto del 1833 nell'aggiustamento d'un muro della cappella in cui era sepolto, il caso d'uno smattnnamento fece che si trovassero le reliquie di Raffaello; e la testa dell'Accademia su cui i frenologi avevano fatto le più curiose congetture del mondo, fu posta in disparte, e diede molto di che ridere ai maligni. Furono allora fatte sontuose feste; ne fu steso il processo autentico; fu dato alle stampe il disegno dello stato in cui si trovavano quei venerati resti da Orazio Fernet, a quei di direttore dell'Accademia di Francia a Roma ; ed^.
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