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Figli del popolo venuti in onore
Operetta storico-morale
Salvatore Muzi
Tipografia Scolastica di A. Vecco e Comp., 1867, pagine 216

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   la bella storia, che quegli perdette la pazienza, e gli die7 senz'altro uno scapezzone.
   Per dieci.... e due dodici! tartagliò Bartolino, se non fossi un ragazzo....
   — E che faresti?
   — So io quel che farei!
   — Vorresti pigliarti la vendetta del Vannini?
   — Oh no!... perchè mi preme di tener la mia testa attac... ca... cata al còllo.
   — Taci dunque, e vattene.
   — Oh !... oh!... com'è brusco quest'oggi il signor Ma... Marcellino.... Per dieci.... e due dodici!
   — Sono brusco sicuro.... e n'ho ben d'onde ! Caspita ! Non sai tu ch'i'son toscano, ch'i' sono di S. Marcello, e che dalle nostre parti non si è mai visto, eh' io mi ricordi, nè tagliar teste, nè slungar colli per man del boia? Ei mi dicono che anche da noi la c'è la pena di morte, ma la giustizia non è mai venuta a quest'estremo. Qui invece, sotto lo stesso governo, la ghigliottina è fatta oggetto di spettacolo, come altrove la forca: e si ha a vedere plèbe e non plebe correre in folla per un paziente ed un carnefice, e contrastarsi il posto come farebbesi in teatro per udire Salvini o la Ristori. Bel progresso di civiltà per mià fè, di sbramarsi di si lurida cose! Io chiamerei civile quel popolo, che vedendo il carro della morte gli desse le spalle inorridito, non quello che lo segue, facendo festa e schiamazzo. — E fa, bestione, vuoi far bottega colla storia d'un assassino,
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