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Cavallaro, presero a dirgli Niccoḷ Tartaglia, il qnal soprannome ritenne poi di buona voglia in ricordanza del fatto.
— E certamente quella ferita (prese a dire il maestro facendola un po' da saccente) non gli dava mala voce, come la cicatrice che mostrava in fronte Scipione africano.
— Bravo! disse il signor Tẹtimo, e anḍ oltre. Il nostro Tartaglia da piccoletto aveva imparato un po' di lettere; ma poi impedito da fieri casi interruppe un tratto gli studi. Peṛ eccitato dall'ardente desiderio di pur imparare, si diede a scrivere sotto un taccagno venale, che si chiamava Francesco, e vennero a questi patti: Che Francesco insegnasse al Tartaglia di scrivere l'alfabeto: che Niccoḷ gli pagasse anticipato un terzo della somma convenuta ; che, imparato a scrivere un terzo dall' abbicci, anticipasse al maestro il pagamento dell'altro terzo;,., e cosi di seguito. Ora; quante lettore dell'alfabeto credete voi che imparasse a scŕvere il Tartaglia?
— Trentadue! griḍ Bartolino. E i monelli ohe aveva intorno gli diedero la baia.
— Ma l'alfabeto nostro (disse il maestro) eolle cifre latine e greche ohe contiene, non ha ohe venticinque lettere.
— Oh per dieci.., e due dodici! rispose Bartolino ingrugnito, ho detto io si gran bestemmia?
— Zitto! griḍ il cartaio. — E se gli fosse stato da
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