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Figli del popolo venuti in onore
Operetta storico-morale
Salvatore Muzi
Tipografia Scolastica di A. Vecco e Comp., 1867, pagine 216

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   — 18 —
   Cavallaro, presero a dirgli Niccoḷ Tartaglia, il qnal soprannome ritenne poi di buona voglia in ricordanza del fatto.
   — E certamente quella ferita (prese a dire il maestro facendola un po' da saccente) non gli dava mala voce, come la cicatrice che mostrava in fronte Scipione africano.
   — Bravo! disse il signor Tẹtimo, e anḍ oltre. Il nostro Tartaglia da piccoletto aveva imparato un po' di lettere; ma poi impedito da fieri casi interruppe un tratto gli studi. Peṛ eccitato dall'ardente desiderio di pur imparare, si diede a scrivere sotto un taccagno venale, che si chiamava Francesco, e vennero a questi patti: Che Francesco insegnasse al Tartaglia di scrivere l'alfabeto: che Niccoḷ gli pagasse anticipato un terzo della somma convenuta ; che, imparato a scrivere un terzo dall' abbicci, anticipasse al maestro il pagamento dell'altro terzo;,., e cosi di seguito. Ora; quante lettore dell'alfabeto credete voi che imparasse a scŕvere il Tartaglia?
   — Trentadue! griḍ Bartolino. E i monelli ohe aveva intorno gli diedero la baia.
   — Ma l'alfabeto nostro (disse il maestro) eolle cifre latine e greche ohe contiene, non ha ohe venticinque lettere.
   — Oh per dieci.., e due dodici! rispose Bartolino ingrugnito, ho detto io si gran bestemmia?
   — Zitto! griḍ il cartaio. — E se gli fosse stato da
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