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Figli del popolo venuti in onore
Operetta storico-morale
Salvatore Muzi
Tipografia Scolastica di A. Vecco e Comp., 1867, pagine 216

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   — 19 —
   presso, gli avrebbe zombato ano scapezzone senza tanti complimenti.
   —: Ebbene, ripigliò il signor Teòtimo, per troncar le questioni; quante lettere dell'alfabeto credete voi che imparasse a scrivere il Tartaglia?
   — Tutte, disse l'arrotino.
   — Oh no, vi sbagliate non imparò che fino all'acca.
   — Asino! sclamò lo stovigliaio.
   — Adagio, adagio, disse il signor Teòtimo reprimendolo. Non imparò più oltre, perchè non avea modo d£ jytòipipare un altro terzo di pagamento a quel maestro senza cuore.
   — Ben detto, soggiunse il cartaio: e chi vive solo pel denaro, è ben meschino e spregevole.
   E il signor Teòtimo: Da quel tempo il meschinello di Niccolò non ebbe più verun maestro, ma solo la compagnia d'una figliuola di povertà chimata industria-, e questa lo condusse molto innanzi pel sentiero della scienza. Infatti imparò tanto di aritmetica e di algebra, che è un'aritmetica generale, il fiore del calcolo, che tutti in Brescia lo chiamarono il mago; ed egli lasciava dire e studiava intensamente. Nè solo imparò, ma insegnò e mise alle stampe; laonde un francese di nome Descartes o Cartesio, letti i libri d'algebra del nostro Tartaglia, li venne ampliando con nuove applicazioni pratiche, e voleva poi tutto il merito delle altrui invenzioni da esso lui perfezionate. Simile in questo a certi ragazzi ginnastici che si rizzano in piedi sulle spalle
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