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Figli del popolo venuti in onore
Operetta storico-morale
Salvatore Muzi
Tipografia Scolastica di A. Vecco e Comp., 1867, pagine 216

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   — Mi rifarai il letto.
   — Oh Dio!
   — E allora vattene.
   — No no, vi rifarò il letto, k — Mi stregghierai la mula. * — Oh Dio !
   — E tu vattene.
   — No no, vi stregghierò la mola.
   — E terrai netta la stalla.
   — Anche la stalla?
   — Se ti garba bene, se non ti garba, vattene.
   In breve, se Vittorino volle imparare le matematici^, dovette fare al Pellacano il servo, e peggio! 'N^
   — Oh! io non avrei accettato sì dori patti, disse > Leonzio l'arrotino.
   — Ma voi, soggiunse il maestro, non avete l'animo di Vittorino da Feltre, nè la volontà ferma e salda di lui d'imparare diffìcili scienze, in /quel tempo che scarseggiavano libri, e più ancora valenti maestri.
   — E ci stette a lungo con quel cane di professore? dimandò il cartaio.
   — Sei mesi, nei quali imparò tanto da poter fare a meno del maestro: e infatti, comprato un Euclide logoro ed unto, salutò il Pellacano, e si diede a studiare da sé. Sui dieci libri d'Euclide raccolse tutta la potenza del proprio ingegno, non perdonò a veglie nè a meditazioni, e in men .d'un anno, per questa forte ginnastica dell'intelletto , acquistò tale acutezza di penetrazione,