Stai consultando: 'Figli del popolo venuti in onore Operetta storico-morale', Salvatore Muzi

   

Pagina (55/218)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina      Pagina


Pagina (55/218)       Pagina_Precedente Pagina_Successiva Indice Copertina




Figli del popolo venuti in onore
Operetta storico-morale
Salvatore Muzi
Tipografia Scolastica di A. Vecco e Comp., 1867, pagine 216

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

Aderisci al progetto!

   
[Progetto OCR]




[ Testo della pagina elaborato con OCR ]

   — 55 —
   zioni non c'era ancora contaminato dalle gonfiezze sp&-gnuole, dagli insidiosi gallicismi, e dalla peste d'ogni straniera influenza. Non è dunque a meravigliare che anche un sellaio scrivesse in buona lingua. Il buon latte delle nutrici cresce gli allievi ridenti e sani. Ed a quel tempo il latte della nostra favella era anche puro dappertutto ; sicché non ftveansi come dipoi, tanti sbilenchi dell'anima e dei cervello.
   — Ben detto, sclamò il segretario. — Ben detto, replicarono Isidoro e Leonzio. — E si fece un poco di pausa.
   Ricomposti gli spiriti, il valentuomo prese a dire: Ora parlerò di Giulio Cesare Croci, fabbro ferraio, e scrittor di versi fantastici.
   Questo bizzarro artigiano non fu laureato nè in Campidoglio nè in Parnaso, e non aveva studiato il libro del Bisso, nè avuto fra le mani il Giardini ed il Ruscelli.
   — Che c'entra qui la biscia nel giardino e nel ruscello? dimandò Biagio.
   — Ho detto il Bisso, il Giardini e il Ruscelli, che furono tre valentuomini, i quali o in un modo o in un altro, insegnarono ed aiutarono a far poesie. .
   — Adesso capisco ! »
   — Il ferraio bolognese non aveva dunque studiato questi maestri, eppure faceva poesie. Nacque costui in carnevale del 1550, e gli piacque l'allegria, non però le sguaiataggini.
   s