— 56 —
* — Oh diamine !
— Suo padre ebbe nome Carlo, e fa nn onesto ma povero fabbro di S. Giovanni in Persiceto. Ebbe quattro figli, e pensò di farli studiare, perchè non era una di quelle teste vuote, che ritengono che l'artigiano non abbia a saper leggere più in là dell1 alfabeto e del lanario, nè a computare oltre il dieci. L'onest'uomo rodava piuttosto giorno e notte sulF incudine, che veder crescere i figliuoli ignoranti come tronchi, ineducati e rozzi come Patàgoni.
— Ha detto Pa... cà...goni? Che cosa sono i Pa... pa...goni?
Una risata sonora seguì la domanda di Bertolino.
— E il signor Teòtimo disse : ho piacere d'essere interrogato da chi non intende : così mi studierò di render chiaro il mio racconto. I Patàgoni dunque sono omacci grandi, grossi, ignoranti, abitatori delle tèrre più lontane dell1 America meridionale, i quali vivono, a maniera di bestie, mal vestiti, mal nudriti, senz'industria, e senza cognizione del buono e del bene.
— Poveretti!
— Oh sì poveretti davvero !
— Il nostro Giulio Cesare non finì però ignorante. Gli morì, è vero, il buon padre eh' egli era piccolo ancora, e gli rimase la genitrice, la quale, senza braccio pel martello, e senza carbone per la fucina, decise di mettere i figlioletti a bottega, perchè si buscassero il pane. Queste sventure sono vere ; però Giulio Cesare,
s