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Figli del popolo venuti in onore
Operetta storico-morale
Salvatore Muzi
Tipografia Scolastica di A. Vecco e Comp., 1867, pagine 216

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   — 57 —
   passato a Castel Franco dell1 Emilia in casa d'ano zio artigiano, volle questi che il nipote studiasse grammatica ed aritmetica. Ma il meschinello capitò male a maestro; perchè quel taccagno anziché mettergli innanzi l'Accarisi ed il Bembo, gli dava in mano una striglia, affinchè la passasse sul pelo d'un suo sciancato ronzone.
   — Ronzone?
   — SI, cavallaccio vecchio vecchio e magro. E quando il ragazzo allentava il moto delle braccia, il maestro lavorava di frusta e di nerbo, oon duro modo di ristorargli le forze.
   — Cane !
   — Cosi non è il signor Diodato, non è vero?
   — Oh no per certo, disse Isidoro. Egli è tutto amore e pazienza.
   — Grazie, grazie! Mala colpa era de'tempi; poiché allora credevasi che senza verga e staffile non si potesse insegnare, e che le battiture istillassero il sapere nel cervello de' ragazzi.... Ma non voglio interrompere la narrazione.
   Tornando dunque al maestro del Croci, aggiugnerò che gli facea zappar l'orticello, e gettar il seme nel verziere, ' e falciare il fieno, e pestar l'ortica per le anitre e per le oche. Cosi durò la faccenda per cinque anni, a capo dei quali il garzonetto non ebbe imparato ohe il mestiere della massaia e del mozzo di stalla: sicché lo zio, stanco di spendere in quell'omaccio senza cuore,
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