— Ebbene il giorno tre i due fratelli Lollini, Pietro e Paolo, si presentarono al Re, e gli offersero in dono una sciabola da cavallerěa; ma un' arma! una di quelle armi che sono degne d'un eletto museo; ed egli Paccolse gentilmente dai due artefici, e in segno del suo gradimento disse loro: < Voglio, cingerla sul momento, e recarmi, con questa al fianco, alla rassegna in piazza d'armi ». E detto fatto, aiutato da essi, che tremavano d'orgasmo e di gioia, si sciolse dalla cintola un' arma prussiana di poco conto, e vi sostituě la sciabola dči valenti Lollini, ai quali ha voluto mostrare la sua soddisfazione, facendoli cavalieri.
, — Cavalieri? E lavorano ancora? Domandň Biagio.
— Lavorano, ed onorano le insegne che ricevettero, mentre vi ha chi le porta per disonorarle.
— Pur troppo!
— Essi lavorano e sanno coll'opera della loro mente e delle loro mani nobilitarsi; perchč intendono saggiamente la sentenza di Dante:
8eggendo in piuma, In fama non H vien, nč sotto coltre. cioč a dire che oziando e dormendo non si acquista nome.
— Ben detto, interruppero tutti; e chi vuol farsi nome, lavori.
— Ma... dimandň Leonzio peritoso, crede lei,signor Teňtimo che anch' io, da povero arrotino che sono... arrivassi un giorno...