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Figli del popolo venuti in onore
Operetta storico-morale
Salvatore Muzi
Tipografia Scolastica di A. Vecco e Comp., 1867, pagine 216

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   — 183 —
   quando scagliò la marra fece grande sfòrzo, cosi fu chiamato poi comunemente lo Sforna. Ed illustrò una famigliai
   — Cosi potrebbe fare Isidoro; disse il cartaio. Gli ha ben la faccia d'un uomo d'armi.
   — Non si potrebbe sapere. Ho ventisette anni, e non mi toccò la leva, per avere oltrepassata l'età. Ha se il bisogno venisse, potrei anch'io dar di ripiglio ad un'arma come Attendolo Sforza.
   — Bravo i — Lo Sforza dunque, ritornato a Cotignola dopo la morte di suo padre, vendè il poderetto che a-veva ereditato, raccolse una squadra di venturieri, e si pose agli stipendi del conte Alberico da Barbiano, ch'era un gran capitano di que' tempi.
   — E a far ohe? dimandò Biagio.
   — A combattere or per un principe or per un altro, purché li pagassero bene : ed oggi Borrivano il Gonzaga ed i Visconti, domani il re di Erancia e l'imperatore di Lamagna.
   — Come gli Svizzeri osservò l'organista, che scortano le processioni a Roma, e si battono per l'Italia a Vicenza.
   — Appunto. Lo Sforza dunque da contadino divenne saccardo, da saecardo uomo d'arme, poi capitano di piccola schiera, e successivamente di schiere sempre più numerose; e con ingegno singolare e coraggio indomabile, giunse ad acquistare molte terre laggiù nel reame di Napoli, e qua nelle Romagne. I suoi modi imperiosi