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Il duello nella storia della giurisprudenza e nella pratica italiana

Iacopo Gelli
Loescher & Seeber Firenze, 1886, pagine 192

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   IL DUELLO NELLA STORIA
   cordo con il Re, si pose coraggiosamente all'opera riparatrice e tentò opporsi con ogni sforzo all'ormai eccessivo abuso del duello.
   Un regolamento del 26 Giugno 1599 fu il segnale di una valida repressione del duello. Con esso si prescriveva che le questioni sorte tra privati in seguito ad ingiurie o mentite giudicar si dovessero da giudici ordinari, minacciando « sì contro i vivi che contro i morti la condanna come trasgressori ai Comandamenti di Dio, ribelli al Re, violatori delle ordinante e della giustizia, perturbatori del riposo e della pubblica tranquillità. » La minaccia si estendeva ad ogni persona a qualsivoglia classe appartenesse e che in un modo qualunque avesse favorito il duello o assistito alle riunioni tenute in causa di querele.
   Dopo tre anni di esperimento, sembrò che il regolamento non dasse quei resultati che si attendevano, e con una seconda ordinanza si raddoppiarono le pene, minacciando della confisca dei beni e nella vita i rei di sfida tanto attori, come spettatori: sia che la sfida accadesse entro i confini o al di là dei limiti del Regno.
   Ma come sempre, l'eccessiva severità delle pene ottenne l'effetto contrario, e crediamo non errare affermando che non vi fu epoca nella quale il duello contò tante vittime, quante sotto i primordi del Regno di Enrico IV; giacché nel breve periodo di 18 anni, cioè dal 1589 al 1608, si ebbero a deplorare oltre settemila gentiluomini periti in duello, stando a quanto in proposito riferisce Pietro de l'Etoile.
   Lo stesso Re ben presto si persuase dell'inefficacia di una severità eccessiva, e dietro l'insistenza di Sully, suo ministro per le finanze, scese a più miti consigli. Nel giugno del 1609 pertanto, Enrico IV emanò un novello editto col quale « allo scopo d'impedire accidenti più gravi e più pericolosi » si permetteva « a chiunque si credesse offeso da un altro nel suo onore e nella sua reputazione di portare querela » ai marescialli, al contestabile, al Re medesimo e di chiedere il permesso del combattimento, che « sarà accordato secondo si creda necessario pel loro onore. »
   L'offensore citato, non presentandosi, era punito dal Parlamento come reo di disubbidienza al Re.