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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincia di Venezia
Gustavo Strafforello
Unione Tipografico-Editrice Torino, 1902, pagine 383 |
Digitalizzazione OCR e Pubblicazione a cura di Federico Adamoli
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fifi IJarte Prima — Alta Italia
ricordata l'altare lavorato da Lorenzo Bregno e da Antonio Minella. Ottimo pitture trovatisi pure in questa chiesa, portanti il nome di Vincenzo Catena (Santa Cristina, uno dei quadri migliori di questo artista), di Francesco Bissoln, di Bonifacio Veneziano, di Jacopo Tintoretto (Invenzione della Croce) fra i cinquecentisti. Fra i secentisti ricordane. Nicolò Remeri, Daniele Van I)yck, Cecilio Rizzardini Vincenzo Sgualdo ed altri di minor lama.
San Sebastiano (Campo San Basegio). — In questo luogo, fin dal 13(J3, avevano messo un oratorio ed un cenobio i monaci Eremitani di San Girolamo, o Girolamini come più comunemente erano detti. Ma solo nel 1500, demolito l'antico e minante edilizio, gittavano le. fondamenta della nuova fabbrica. Di questa fu, a quanto sembra, architetto Antonio Scarognino, coadiuvato poscia da Bartolomeo Don, da maestro Francesco da Castiglione, cremonese, da Pietro Lombardo e da Giovanni Bergamasco, artisti tutti di grande merito ed appartenenti a quella scuola dei Lombardi, allora si fiorente in Venezia. Nel 1511 la fabbrica era già coperta e nel 1518 completamente finita. Lo stile lombardo del Rinascimento nelle sue linee più geniali domina in questa chiesa, tanto ni l'interno che all'esterno. L'interno consta di una sola ampia navata nella sua parte anteriore, a nio' di loggia, sostenuta da pilastri quadrati, con arcate ed un ballatoio.
Tanto per le sculture clic per le pitture, dalle quali è ornata questa chiesa, può considerarsi come un vero museo d'arte: oltre altari riccamente lavorati ad ornati ed intarsii di marmi preziosi e. pietre dure, vi sono scolture del Sansovino, ili Tommaso Lombardo o da Lugano, che alenili dicono allievo del Sansovino; di Girolamo Campagna, di Alessandro Vittoria, di Pietro Baratta.
Di maggior rilievo sono i dipinti che in questa chiesa si conservano, per la maggior parte, di Paolo Veronese — clic quivi volle avere lu sua tomba — tanto che dai più San Sebastiano è anche detta la Chiesa del Veronese. Di questo granile artista, oltre i freschi — ora assai deteriorati — dei quali è coperta la loggia del coro, dianzi descritta, si hanno iti San Sebastiana i quadri seguenti: Cristo in Croce culle Marie, la Vergine cuti angeli e santi, il Maitirio di San Sebastiano, San Marco e San Marcellino che stanno per recarsi al martirio, la l'in ideazione e la Piscina probatica (negli sportelli dell'organo). Nel soffitto: il Trionfo di Mardocheo, l'Incoronazione d'Ester, Ester ed Assuero; e nella sagrestia: \ Incoronazione di Maria ed i Quattro Evangelisti; più la pala col Battesimo di Ci'isto. \uole una leggenda, non accertata, che Paolo Veronese lavorasse sì a lungo in questa chiesa perchè rifugiatosi presso i frati Gcroloinim, godenti diritto d'asilo, onde sfuggire alla pena nella quale era incorso, avendo ucciso un suo provocatore. Ma è leggenda. Oltre ì dipinti copiosi per fantasia e figure, abbaglianti per forza di colorito ed ingenui per anacronismi d'ogni genere del Veronese, San Sebastiano possiede una tavola d'altare ili Tiziano Veeellio, lavo-
rata dal grande artista in età ili 85 anni c più ; lavori di Bonifacio Veronese e di Antonio P'assio, di Raffaele da Verona, allievi ed aiuti di Paolo ; poi dipinti del Tintoretto, di Antonio Schiavane, di Jacopo Palma junior©, di Andrea Vicentino, ili Matteo Ingoli e d'altri di minor fama.
San Fantino (Campo di San Fantino). — Antichissima nelle origini è questa chiosa, che fu rifatta a nuovo nel 1500, sui disegni, secondo gli uni, di Tullio Lombardo, secondo altri di Antonio Scarjo-gnino. Comunque, dallo stile appare opera evidente di buon artista della scuola lombarda del Rinascimento. Il santuario ed il coro, pregevoli assai, sono opera del Sansovino. Vi sono opere di scoltura notevoli, tanto negli altari che nei monumenti sepolcrali, dovute a scalpelli di maestri lombardi. I dipinti di questa chiesa portano i nonn di Giovanni Bellini, Jacopo Palma ju-riiore, Leonardo Corona, Santo Peranda, Alberto Cal-vetti, Giuseppe Enzo od altri di minor fama.
San Giuseppe di Castello (Campo omonimo). — Fu eretta per iniziativa di alcuni cittadini, coll'ap-provazione di un decreto del Senato nel 1512, perchè insieme alla chiesa fosse stabilito un cenobio di monache Salesiane. E in istile del Rinascimento, di granile semplicità, tanto all'esterno che all'intorno, ma di belle linee. Si conservano in questa chiesa ottime scolture sacre e sepolcrali, dovute ad artisti insigni, quali Giulio Dal Moro, Vincenzo Scamozzi (mausoleo del doge jlfei'ùio Grimani), Girolamo Campagna, Alessandro Vittoria e Domenico Soidio. Fra i dipinti ve ne sono di Paolo Veronese, di Jacopo Tintoretto, di Santo Peranda, di Antonio Tazzi, di Michele Pa-rasio e d'altri meno noti.
San Rocco (Campo di San Rocco). — Sin dalla metà del secolo XIV era vivo in Venezia il culto a San Rocco, che sul principio di quel secolo aveva fatte predicazioni in Italia ed in Francia, specialmente a Montpellier, ove quel taumaturgo ebbe tomba. Una Confraternita, che in breve salì a grande importanza per le persone che vi si inscrissero, propagò questo culto, fondando una delle cosidette scuole, che tanta influenza ebbero nella educazione civile e religiosa del popolo veneziano durante il governo della Serenissima. Prima ili riescire ad erigere l'attuale chiesa coll'annesso edilizio della scuola, l'Arciconfra-ternita di San Rocco ebbe a subire una sequela di vicende, di liti, di contrasti, da cui, mercè l'aiuto clic ebbe dal governo stesso della Repubblica, potè riescire trionfante ed, acquistati gli opportuni terreni nella località allora detta di Castelforte, nel 1517 diede mano alla desiderata costruzione della chiesa e del-l'edifizio che insieme a questa potesse servire di ricetto ai numerosi adepti alla scuola.
Limitandoci a dir qui della sola chiesa — perchè della scuola parleremo nel capitolo della Venezia monumentale e profana — diremo che il primo disegno ne fu dato da Bartolomeo Buono — o Boll, come più comunemente è detto nelle carte del tempo— nel 1489. Ma nel 1725 subì, ad opera dell'archi tetto Scalfarotto,

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