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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincie di Bergamo e Brescia
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1898, pagine 540

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Bergamo
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   loro giurisdizione, spingendone i limiti dalle sponde del lago di Como fino a Cremona e preparare il terreno al governo feudale propriamente detto, allorché, eolla catastrofe dei Longobardi e la risurrezione dell'Impero d'Occidente, Carlo Magno infligge all'Italia gli ordinamenti politici e militari da lui applicati nei suoi Stati d'Oltrealpe. Bergamo, in luogo dei ducili longobardi, col nuovo regime, ebbe dei conti franchi ed incominciarono le infeudazioiii del territorio a lontani signori, che davano aiuto di danaro e d'anni al belligero imperatore. La vai Camoniea e la vai Seriana, ad esempio, furono date da Carlo ili feudo ai canonici diSan Martino diTours; Almenno e Lecco furono dati in feudo ad una famiglia di conti franchi, che durò fino al secolo XI seguendo la legge salica: tutto il tei ritorio che già ubbidiva alla ferrea disciplina dei duchi longobardi fu ben tosto scomposto, sminuzzato fra i vassalli minori, valvassori e valvassini, che ripetevano la mèdia l°ro potestà dai vassalli maggiori, dai conti e dai marchesi, i quali alla loro volta la riconoscevano dal supremo arbitrio degli imperatori e re. La serie dei conti della città, secondo il Ronchetti, va da Auteramo (816) a Reginario (1101), al quale rimase il titolo, ma non l'autorità e se ne hanno i nomi di diciotto, più di sette visconti I conti del territorio, i rurali, dei quali si hanno notizie accertate, sono quelli di Lecco abitanti nel castello d'Alinenno, dei quali si hanno i nomi di Corrado (892), Radaldo (895), Viberto (940), Ottone (957), i conti di Muzzo, cioè: Ottone (985), Viliemo (?...); i conti di Martinengo, cioè: Lanfrino (1023),-Nuvolo (1088), Gorzone (1092), Alberto (1104), Pagano (?).
   Le vittorie e le discordie ed il numero dei nipoti di Carlo Magno, pretendenti dia sua eredità, ne demolirono, in meno d'un secolo, l'opera; nell'888 Carlo il Grosso ¦ deposto e mentre Arnolfo di Carinzia si proclama sire di Germania da una parte, dall'altra Berengario del Friuli si fa proclamare da vescovi e signori italiani, prendendo ,i consacrazione della nuova dignità la Corona ferrea di Monza che, secondo lui, doveva •allegare il nuovo o risorto regno alla tradizione del regno longobardo, troncata dal periodo della dominazione carolingia. Ma non si tosto è fatto re, sorgono a Berengario competitori da ogni parte, e in Italia nel duca Guido di Spoleto — che da un branco lei suoi fautori si fa gridar re e poscia in Roma, da un compiacente pontefice, anche imperatore-Jm e fuori, da Arnolfo di Carinzia, al quale lo stesso Berengario vilmente corre ad infeudare la propria corona, purché lo aiuti e difenda dalle pretese e dalle minaccie di Guido da Spoleto, associatosi nel pseudo impero il figlio Lamberto. Arnolfo di Carinzia vedendo che in questo garbnglio italiano può fare, e con fortuna, la parte del terzo fra i due litiganti, forte nel proprio dominio e pretestando diritti che gli venivano dalla successione carolingia e dall'infeudazione della corona d'Italia fattagli sì bassamente da Berengario, scende per il firolo, in apparenza per dare aiuto a Berengario, ma in sostanza per proclamarsi re d'Italia ed imperatore in luogo dei due contendenti. Molti erano i feudatari italiani e non poche le città che, scandalizzate dalla vile politica seguita da Berengario rispetto ad Arnolfo, avevano lasciato quel re alla sua sorte per seguire la parte di Guido da Spoleto, che allora era appunto nel periodo della maggior fortuna. Fra queste fuvvi anche Bergamo. Arnolfo, giunto ili Italia, comincia col sottomettere le città che avevano voltate le spalle a Berengario, come quelle che non volevano riconoscere l'avvenuta infeudazione della corona a lui fatta e prime furono Brescia e Bergamo. Brescia facilmente si piegò alla volontà di Arnolfo e gli aprì le sue porte; contro Bergamo invece si sfogò la severità del re tedesco che aveva bisogno di affermarsi al cospetto degli Italiani con un atto di grande rigore. Le truppe di Arnolfo e di Berengario unite, provenienti da Verona e da Brescia, giunsero davanti a Bergamo il giorno 1° di febbraio dell'894. All'indomani, per ordine d'Arnolfo, che i Bergamaschi dall'alto delle loro mura — secondo ne nana Vichingo, ii continuatore degli Annali di Fulda, messi in luce dal Muratori e testimone dell'impresa — vedevano cavalcare insieme a Berengario ed altri ufficiali, dando