Mantova
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carcere raccoglievasi questa Corte, formata di gente che appena conosceva la lìngua e di qualche rinnegato italiano. Presidente era un maggiore, poi seguivano due o tre capitani, due o tre tenenti, due sottotenenti, alcuni sergenti, caporali e soldati, in tutto circa venti persone, le quali sedevano in semicerchio, e il tenente auditore a sinistra del presidente, con tutti gli atti o pretesti processuali. S'introducevano prima tutti 1 prigioni da condannarsi in quel giorno e la Corte levata in piedi, dietro forinola letta dall'auditore, balbettava in suoni stonanti il giuramento; poi si rimandavano i prigioni e s'introdlicevano ad uno ad uno; l'accusato si faceva sedere in mezzo al semicerchio; allora l'auditore leggeva le carte a quello relative e per risparmio di tempo omettendo le domande, leggeva rapidamente e senza sosta d'interpunzioni e di pause, come se formassero un solo periodo tutte le risposte e tant'era la confusione che ne risultava che lo stesso accusato per lo più niente capiva di quella brodo!(ita. Finita la tirata l'auditore soggiungeva: ha niente a dire? Se l'accusato voleva innanzi la Corte alcunché soggiungere in propria difesa, l'auditore era pronto a finirla col motto. Questo è già scritto, firmi e vada. A questo un secondo, e così di seguito, in tre o quattro ore da quella Corte si faceva il processo e il giudizio di venti o di ventiquattro accusati; finita la lettura degli atti d'accusa l'auditore leggeva la proposta della condanna, la quale compendiavasi nella parola morte, poiché trattandosi d'alto tradimento il codice non sa decretare che morte. Si passava ai voti e la morte era da quei filiti giudici pronunciata. Poi 1 auditore se ne tornava a Verona e là in consiglio col Iladetzky si ventilavano le conferme e le commutazioni >.
In tal modo cominciarono a fioccare le condanne capitali, fondate per lo più su indizi appena ìntravveduti e subito afferrati dallo zelante auditore, su rivelazioni strappate a qualche inquisito sotto il bastone degli aguzzini o sotto altre pressioni, suggestioni, torture morali e fisiche; fallo di un attimo, scontato poscia da una vita di espiazione, di eroismo, di devozione alla causa della patria e della libertà; ma comunque sempre irreparabile nelle tragiche conseguenze allora avute.
Il 13 novembre 1852 venne, dopo lunghe tergiversazioni e nuove torture inflitte agli inquisiti, tra cui la sconsacrazione dei sacerdoti Tazzoli ed Ottonelli, compiuta riluttante il vescovo e il clero mantovano, per ordine espresso e reiterato venuto da Roma, proposta la pena di morte contro dieci inquisiti : Tazzoli, Scarsellini, De-Canal, Zani-belli, Pagaiioni, Mangili, Faccioli, Poma, Quintavalle, Ottonelli. L'incolpazione generale era d'alto tradimento per ordita congiura; incolpazione specificata nei singoli casi dal pili al meno per avere o sparso o trattenuto proclami incendiari ; raccolto o dato offerte pel prestito mazziniano ; preso parte ai disegni d'attentati all'imperatore, ecc. Venne per due soli, Speri e Poma, aggravata da un titolo di reato considerato comune, il progettato assassinio del commissario Rossi.
La sentenza venne inviata a Verona e presentata a quel plenipotenziario (Benedek), che aveva la facoltà di mutarla. Si fecero preghiere e suppliche, per mezzo di autorevoli cittadini, al maresciallo in Verona; essendo l'imperatore Francesco Giuseppe venuto a Pordenone per le manovre militari, una deputazione di cospicui cittadini mantovani, capitanata dal vescovo, si recò colà ad implorarne la clemenza. Fu appena ricevuta e licenziata con brevi e vaghe parole, che non lasciavano adito ad alcuna speranza.
Il maresciallo Radetzky confermò la pena di morte per cinque inquisiti; Poma, Tazzoli, Scarsellini, I)e-Canal e Zambelli commutando agli altri la pena nel carcere temporaneo ; per dodici anni al Paganoni, perchè mostrassi meno attivo, e al Faccioli per il pentimento grande; per otto anni al Mangili, perchè da qualche tempo levatosi dalla congiura; al Quintavalle allo stesso tempo ed aU'Ottonelli, per Vantecedente incensurabile condotta. Una deputazione delle più eminenti donne mantovane andò a Verona a supplicare il maresciallo di mitigare la truce e dura sentenza; altri uffici compiè