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Parte Seconda Alta Italia
reggia, elio stava abbellendo ed ingrandendo — nell'ascesa fortunata della sua famiglia— e nel UGO si stabilì in Mantova, da dove più non si mosse ed ove morì nel 1506.
Anche non contando cpielle che andarono perdute, quelle che la rapacità dei dominatori stranieri esportò, che le necessità di tramontate fortune fecero vendere, le opere che Mantova possiede del Mantegna, numerose e ragguardevolissime tutte pel valore artistico, sono il miglior testimonio della feconda sua attività. Oltre all'essere stato un eccellente e fecondo dipintore a tempera ed a fresco, il Mantegna fu uno dei primi che adottasse in Italia la pittura ad olio, metodo trovato od introdotto in Italia dal celebre Antonello da Messina.
Caratteristica del Mantegna è la grande purezza dei contorni, l'accurata esecuzione di ogni particolare, la fresca soavità del colorito, mentre gli si addebita il difetto di espressione delle sue figure; ma è difetto dì alcune opere, della prima maniera soltanto, mentre lo opere della maturità sono due veri capolavori; veggasi la Vergine delia Vittoria, cli'è al .Museo del Louvre a I'arigi. 11110 dei quadri che più onorino l'arte italiana preraffaellista: veggansi i molti dipìnti a fresco e ad olio che di lui si conservano ancora in Mantova; il famoso Cristo Morto, nella sala dei capolavori all'Accademia di Brera in Milano, ed il San Marco Evangelista, che conservasi ancora nella chiesa di Santa Giustina della nativa sua Padova. Fra 1 perfezionamenti dei quali l'arte è debitrice al Mantegna havvi quello delle accurate prospettive che veggonsi noi suoi quadri; ond'egli, se non il primo in Italia a curare il paese e la prospettiva, fu certamente fra i pittori veneti e lombardi il primo ad introdurre questa importante e necessaria innovazione. 11 Mantegna fu anche buono incisore: anzi, havvi ehi gli attribuisce la paternità di quest'arte nella quale lasciò bellissimi saggi, ora gelosamente custoditi nelle più famose raccolte. Andrea Mantegna lasciò due figli: Francesco e Lodovico, che ne seguirono le tradizioni e condussero a termine le cose da lui lasciate incomplete nel palazzo Ducale ed in Sant'Andrea. Ma il gonio sorgente di Giulio Romano offuscò so non quella del padre loro, la fama di questi due bravi artisti, 1 quali lasciarono in seguito la città, recandosi a lavorare a Milano, a Genova ed altrove.
Non a torto Mantova fu, siccome abbiamo già detto, chiamata la città di Giulio: poche sono le città alle quali 1111 grande maestro abbia dedicata pressoché tutta l'opera della sua vita, come por Mantova fece Giulio Romano.
Giulio Pippi, in arte eletto Romano, nacque infatti in Roma noi 1492. Più che discepolo fu amico e confidente di Raffaello, il quale aveva pochi anni più di lui 0 morendo
10 nominò suo erode universale, insieme a Penili, commettendo loro di condurre a termine quelle opere che la immatura morte gli proibiva di terminare. Giulio Pippi ed
11 Ponili lavorarono infatti al compimento delle opere raffaellesche ed in esecuzione alle volontà ultime del loro maestro ed amico: Leone X, il cardinale Medici (clic fu poi Clemente VII) ed altri potenti personaggi e prelati della Corto pontificia li avevano ìli grande protezione e considerazione. In quel periodo Giulio Romano ebbe da Clemente VII la commissione degli affreschi della sala di Costantino in Vaticano; ma l'artista, impressionato forse dalla creazione poderosa di Michelangelo nella cappella Sistina, andò ognor più scostandosi dai metodi dell'Urbinate, inceppante forse la sbrigliata sua fantasia e diede all'arte 1111 indirizzo nuovo, nel (piale però si sente la trascendentale influenza della scuola michelangiolesca. Compiuti quei lavori e scioltosi dalla società col Penai, Giulio Romano abbandonò Roma, recandosi a Mantova perla vorar vi alla Corto del prima duca Federico Gonzaga. Sulla partenza quasi improvvisa del Pippi da Roma è controversa la versione negli storici. Il Vasari ed altri affermano che Giulio Romano dovette abbandonare la nativa città per sfuggire al risentimento di papa Clemente VII, irritatosi contro di lui per corti disegni lubrici dati ad intagliare al famosissimo incisore Marcantonio Raimondi, per illustrare un libro di scritti e versi ancor più lubrici di Pietro Aretino. Il papa, indignato per quello scandalo,