Mantova
243
avrebbe minacciato di prigionia Giulio l'ippi, che credette prudente, anche perchè certi suoi nemici soffiavano nel fuoco dell'ira papale, di allontanarsi dalla città eterna. Il conte Carlo D'Arco, accurato storiografo ed illustratore della vita e delle opere di Giulio Romano, e tanto in Roma clic in Mantova (1), oppugna vivamente, se non vittoriosamente, questa versione, dal Vasari incidentalmente insinuata, nella vita del Raimondi. Secondo il D'Arco, Giulio Romano sarebbe stato regolarmente trattato da Baldassarre Castiglione, allora vivente in Roma, ambasciatore del suo duca presso la Corte pontificia, come ne fanno fede alcune lettere del Castiglione dal D'Arco viste o citate. Ma l'una cosa non escluderebbe l'altra e spassi Oliatamente ragionando, considerate le costumanze tutt'altro che rigorose della Corte romana in quel periodo e la dimestichezza colla quale papi e prelati vivevano cogli artisti più sregolati e spregiudicati (il Celliui ad esempio), pare eccessiva la sola causale dei disegni lubrici incisi dal Raimondi, per l'allontanamento di Giulio l'ippi da Roma, ove, al riflesso del gran nome di Raffaello e pel valore proprio, si era conquistata, e meritamente, una delle primissime , posizioni artistiche ed anche economiche. Comunque, il fatto è che Giulio Romano venne in Mantova e v'ebbe onori grandissimi e lauto assegno (d'oltre 500 ducati d'oro all'anno, secondo i computi del D'Arco, corrispondenti a lire 36.770,50), assegno ragguardevolissimo, specie in quei tempi nei quali il prezzo delle derrate e delle cose necessarie alla vita era circa il trentesimo di quello attuale. Per quanto munifico, il Gonzaga non avrebbe — senza preventivi accordi — concesso sì lauto emolumento ad un profugo ricercato dalla giustizia del proprio paese ed inseguito dal risentimento d'un pontefice, col quale lo stesso Gonzaga era in cordiali e devoti rapporti personali e di Stato.
Comunque, Giulio Romano visse in Mantova nel 1525 e nel 1526; il duca, con patenti del 25 giugno, lo creò nobile, vicario di Corte e superiore generale delle fabbriche, affidandogli subito importantissimi lavori e per primo il già descritto palazzo del Tè. Giulio Romano lavorò in Mantova più di vent'anni e vi lasciò capolavori che fanno riscontro a quelli da lui lasciati in Roma nei palazzi del Vaticano.
Giulio Romano si distingue sul gran numero dei pittori del suo secolo per l'abilità e la potenza colla (piale seppe trattare l'affresco. I suoi dipinti in questo genere del palazzo Ducale di Mantova e del Tè, sebbene in parte danneggiati dal tempo, dalla umidità, dal vandalismo e dall'incuria, sono maravighosi per 11011 dire insuperabili. Fra gli affreschi del palazzo Ducale abbiamo ricordata la Diana cacciatrice e la Venere accarezzante Amore nella sala della Scalcheria, ora del Conservatore del palazzo; la stupenda figura Aa\Y Innocenza nella sala degli Specchi e la sala di Troia, clie sono indubbiamente da collocarsi fra le migliori pitture del secolo XVI; il palazzo del Tè, la cattedrale di San Pietro, il Collaredo ed altri edifizi, sono ancora testimoni della fantasia prodigiosa, della genialità di sentimenti e della tecnica perfetta di questo grande artista, al quale Mante» ebbe la gloria di essere largamente ospitale e di diventarne la seconda patria.
*
* *
A parte le grandi individualità, delle quali più sopra abbiamo delineati i profili, Mantova non ha mai smentita l'affermazione dantesca, che
In sul paese che Adice e Po riga Solea valore e cortesia trovarsi.
Numerosa fu sempre la schiera dei Mantovani che ili ogni tempo, colle opere loro, portarono fama ed onore alla città natale ed alla patria italiana. Citeremo i più famosi.
Nel secolo XIV: Matteo Selvatico, medico, uno dei luminari della famosa scuola salernitana. — Ognibene, grecista e latinista. — Gian Francesco Arrivabene, poeta.
(1) Carlo D'Ar.co, Istoria della vita e delle opere di Giulio Pippi Romano. Mantova, F. Repctti, 1862.