Il liazio
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la sua decadenza ò da attribuire piuttosto ad altro cause clic alla sterilità del suolo stesso. Solo il tratto litoraneo è sabbioso e infecondo, giustificando pienamente il linguaggio di Fabio, che lo qualificò agnini wacerriinnm litoroximhmimrpie (1). Dall'altra banda i pendii dei colli Albani son fertilissimi i sempre, sparsi, come nei tempi antichi, di ville dei ricchi Ho uhi ai, con lussureggianti ed anienissinii giardini,
11 clima del Lazio era tntt'altro che sano anche nella maggior floridezza di Roma, quantunque la maggior densità della popolazione e la coltivazione più attiva ed estesa tendessero a diminuire gli effetti della malaria clic è ora il flagello di quell'ampia regione. Afferma Strabene (v, 231) clic il territorio dì Ardea, deipari che quello fra Anzio e Lanuvio, e quinci sino alle paludi Pontine, era paludoso e insalubre. Le Pontine stesse sono (Inscritte come pestifere da Silio Italico (vm, 37',)) e tutti i tentativi per sanarle par producessero poco effetto.
L'insalubrità di Ardea è qualificata proverbiale così da Marziale-(iv, 00), come da Seneca ('2): ma trova usi oltre di ciò espressioni che accennano ad una diffusione assai maggiore della malaria. Leggiamo infatti in Livio (vii, 38) che i soldati romani lagnavansi di dover sempre essere in lotta in drillo atquc pestilenti, circa urbeui. solo; e Cicerone (3) dà lode a Romolo per avere scelto, per edìncarvi la sua città, un luogo salubre in mezzo ad una regione pestilenziale (Lo cu ni delcgil in regione pestilenti salubrem).
Ma noi apprendiamo altresì da copiose allusioni negli antichi scrittori che la stessa Roma poteva considerarsi sol relativamente sana ; anche in essa le febbri malariche eran frequenti nell'estate e nell'autunno, appnnto come non di rado al dì (l'oggi, ed Orazio (4) osserva argutamente che i calori estivi vi recavano fichi freschi e funerali. Del resto, anche il culto prestato dagli antichi alla dea Febris è una importantissima prova del malsano aere della Campagna romana. Parecchi templi furono innalzati dai Romani a questa divinità e sono note varie epigrafi dedicatorie contenenti invocazioni (5). Anche Frontino ((>) loda l'accresciuta provvista d'acqua come tendente a rimuover le cause clic avevano notoriamente reso il clima di Roma malsano (emme grarioris codi, qnibns a puri reterei urbis infamis aer fnit).
Ma la grande agglomerazione degli abitanti in Roma stessa dovè frapporre ostacolo alla malaria più intensa nei punti men popolosi; per siimi guisa la Campagna dov'era più popolata e coltivata era meno insalubre, ed è probabile che, anche nei tempi più floridi dell'impero-, codesto malanno fosse di gran lunga maggiore che nei prischi tempi, quando le numerose città libere formavano altrettanti centri di popolazione e d'industria agraria. Non maraviglia perciò che, caduto l'Impero romano, e venuti meno i lavori agrarii nella Campagna, la malaria l'invadesse con rapidità spaventosa; e uno scrittore del secolo un ciechi io (Pier Damiano, citato dal Bunsen) parla del clima mortifero di Roma in termini clie sembrerebbero al dì d'oggi grandemente esagerati.
L'insalubrità proveniente da questa causa è però ristretta intieramente alla pianura. È dimostrato al dì d'oggi che basta l'altezza di 110 o 130 metri sul livello del mare per andarne immuni; e infatti Tivoli, Tusculo, Al icia, Lanuvio e tutte le altre città situate ad un'altezza appena ragguardevole dalla pianura, erano perfettamente sane e frequentate durante l'estate (nei tempi antichi come nei moderni; dai villeggianti da Roma (7).
(1) Sei»'., Ad Ani., 1, 3. (»2) Ep. 103.
(3) De Rep., li, 6.
(4) Ep. 1, 7, 1-9.
(5) Cf'. De Vit, Oiiomasticitiìi s. r. Fehris, (G) De Aquaed., § 88.
(7) Veggasi intorno a ciò; TouBtiON, Etudes stathtiques sur Rome, cap. 9; Biinsen, Beschreìbnny dei¦ Stadt Rom, pp. 9S-108.