Circondario di Viterbo
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sebbene, la non potè mai essere altro clie una piceni;* città e sempre dipendente probabilmente da Ttirquìnii (Corneto), non occorrendo inai il suo nome nell'istoria.
L'altra necropoli etnisca è quella di Norchìa, a cui si va da Vetralla, parte in vettura e parte a cavallo od a piedi, finché si arriva ad ima valle, in forma di anfiteatro, con da un lato mia balza, alta 70 metri sopra il tinnii che scorre al fondo. Le rupi sono perforate da ima linea di tombe ornate di frontoni e cornicioni come quelle di Castel d' \sso, ma di difficile accesso perla grande quantità dei cespugli spinosi e le ostruzioni dei massi caduti. Quasi all'estremità della linea, in una gola o vallicella laterale, sono i due sepolcri scolpiti con frontoni e fregi dorici rinomati fra gli archeologi. I)i questi uno soltanto dei frontoni è compiuto; la metà dell'altro fu trovato sepolto nella terra e. fu trasportato a Viterbo. I timpani sono pieni di figure in altorilievo e il muro, sotto dì altre figure in bassorilievo, quasi al naturale. Le figure superiori rappresentano incidenti di 1111 combattimento; le sottostanti, probabilmente una processione funebre o religiosa. Sopra le figure sì possono ravvisare, come sospesi al muro, uno scudo circolare, un genio alato, 1111 elmo e due spade e le tre figure che chiudono la processiono recano in mano le verghe attorte che non sì veggono in altro luogo fuorché alla tomba Tifone a Corneto Tarquinia.
Il prof. Orioli, che descrisse pel primo anche questi sepolcri, crede che il loro carattere greco e la loro esecuzione li facciano risalire al V 0 VI secolo di Berna, circa il 100 av. C. L'interno nulla offre di notevole e 11011 differenziasi da quello delle altre tombe in vicinanza. Quantunque ve n'abbia un numero maggiore (50 circa) in questa necropoli ili Morchia che in quella di Castel d'Asso è singolare che non vi siasi mai rinvenuto vestigio alcuno d'iscrizione etnisca. La pittoresca chiesa longobardica di Morchia, ora in rovine, segna il luogo della città etnisca, ma il suo nome antico è perduto e nulla più è noto intorno ad essa, salvo che nel IX secolo aveva nome Orcle.
Fatami Vultumnae. — Nel circondario di Viterbo era anche un luogo detto Fantini Vultumnae ove gli antichi Etruschi costumavano tenero le assemblee generali dei delegati dei varii Stati della Confederazione etnisca (Liv., ìv, 23, 61; v, 17, ecc.). È evidente dal nome Fammi ch'esso era in origine un tempio 0 santuario ed è anche probabile che le suddette assemblee avessero da principio un carattere puramente sacro ed assumessero poi, a grado a grado, un significato politico.
Non vi ha ragione di supporre che vi fosse mai una città quantunque sembri che vi si tenesse, ili quelle convocazioni annuali, una specie di fiera a cui convenivano mercatanti delle vicine città d'Italia (Liv., vi, 2). La situazione di questo santuario nazionale etrusco 11011 è indicata 111 verun luogo, nè se ne trova più fatta menzione dopo la caduta dell'indipendenza etnisca; dì che i siti assegnatigli sono affatto conghietturali. L'opinione più generalmente accettata pone il Fammi Vultumnae a Viterbo; altri lo pone al suddetto Castel d'Asso, e Dennis (Op. cìt., voi. 1, p. 516-522) a Montefiascone. Vi sono certo circostanze le quali par connettano il Fammi Voltumnae con Volsiniì 0 Bolsena, e rendono probabile che si trovasse in quei dintorni.
Prodotti. — Il vasto territorio viterbese è irrigato da molte acque e ricco di prati, orti e campi coltivati a biade, viti, ulivi. Abbondano le ortaglie e le frutta; estesa la coltura del tabacco, e più che altro della canapa di cui fiorisce un'industria speciale, essendo tenacissima e bella da 11011 temer paragone. Sonvi pure mandre numerose di bovi, cavalli, pecore, suini; cave abbondanti di lava, di trachite, di gesso, di peperino, di sabbie silicee e molta copia di tufi vulcanici. Quando le industrie chimiche non offrivano ancora il solfato di ferro ai vili prezzi d'oggigiorno, il territorio viterbese alimentava anche l'industria della fabbricazione di quel prodotto, conosciuto in commercio col nome di vitriolo romano, al qual fine si utilizzarono masse piritose
in decomposizione della valle della Vezza.
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76 — l.a Putrii), lol. Ili,