Mandamenti e Cornimi del Circondario di Viterbo
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La, suddetta basilica, dichiarata monumento nazionale, vuoisi edificata sui ruderi di un tempio antico sacro a Diana. Nel 520 San Benedetto vi fondò 1111 cenobio ed una chiesa pei suoi monaci e nel 125S Alessandro IV concesse la chiesa al Capitolo ili Santo Spirito in Sassia, finché essa passò, nel 1G50, con tutto il ducato, al governo pontificio. Sorge sopra una rupe a picco, sotto la quale scorre il torrente Le Masse, affluente della Treja, e il cenobio sta in una spianatella così angusta della rupe che può dirsi quasi addossato ad essa. L'architettura della basìlica indica che fu costruita nel secolo X, impiegandovi le colonne e i marini del suddetto tempio di Diana; fu però restaurata e dipinta a più riprese. La crociera e porzione della navata maggiore conservano il pavimento in musaico romano, del secolo XIII. Elegante il tabernacolo dell'altare maggiore, sorretto da quattro colonnini.
I dipinti a fresco che ornano la basilica, e che scamparono in gran parte anche al restauro del 1850, sono del più gran valore per l'arte. I meglio conservati sono nell'abside e rappresentano: Cristo con a sinistra San Paolo ed Elia, e a destra, San Pietro; i quattro filimi sgorgano a piedi del Redentore; più al basso, Gerusalemme e le dodici pecore fra le palme; indi Cristo, due Angeli e sei Santi. Nelle pareti della tribuna, profeti, martìri, scene dell'antico Testamento e dell'Apocalisse. Vi si leggono ancora i nomi dei pittori, fratelli Giovanni e Stefano col loro nipote Nicolò, di Roma.
Merita menzione il vicino santuario con romitaggio della Madonna ad Rupes, situato pittorescamente a metà dell'altipiano che sovrasta la storica valle detta Suppentonia, la quale da Nepi, abbassandosi sempre, corre oltre Castel Sant'Elia, solcata in fondo da rapido torrente. Fino al cadere dello scorso secolo l'accesso al Santuario era un viottolo, pel quale più che camminare dovevano inerpicarsi 1 visitatori, e nei tempi di pioggia e di ghiacci, diveniva impraticabile. Ora però vi si scende dalla spianata superiore per una comoda scala di ben 140 gradini scavati nel masso vivo all'interno della rupe per opera del venerando eremita Giuseppe Andrea Rodio che vi lavorò solo, senza altro strumento che un piccone, per 14 anni, procedendo dal basso in alto.
Al primo giungervi il visitatore è colpito dall'immagine della Madonna singolarmente bella e devota che si venera sull'altare maggiore, adorna di ricco diadema e di manto stellato. Ella è in atto di preghiera e volge gli occhi al divino suo figlio, coronato anch'esso, che pare le dorma sulle ginocchia. L'immagine taumaturga è in tela, sufficientemente conservata, onde la sua antichità non può essere che posteriore al Rinascimento. In quali anni precisamente vi fosse collocata non si conosce. Si sa solo che già vi si trovava quando, nel 1777, il suddetto eremita Giuseppe Andrea Rodio fece della grotta il suo romitorio per dimorarvi ben 42 anni e renderla più facilmente accessibile.
Un altro altare si vede nella grotta. Esso è recente ed è sacro al santo pellegrino Benedetto Giuseppe Labre, che fu amico del Rodio e visitò più volte la Madonna ad Rupes. Si vede anche la tomba dello stesso eremita da lui stesso scavata nel masso, nella quale fu deposto dopo il 10 gennaio 1819. Si leggono inoltre due iscrizioni a lui dedicate, una per la sua tomba, l'altra per ricordo delle sue opere a prò' del Santuario e del Romitorio, quali sono la meravigliosa scala, la fontana formata colle acque raccolte dalle vene della rupe, Porticino e una piccola celletta che serve di sacristia.
II Santuario rimase in addietro alla custodia di un semplice romito; indi passò ai Religiosi Francescani di Sant'Isidoro in Roma, i quali riportarono la grotta al suo stato primitivo, rimuovendone l'intonaco che la sfigurava. Sulla sommità della scala, ove era una meschina tettoia, è sorta ora una casa di abitazione per otto religiosi, e una larga cinta di muro segna la clausura del suolo da essi acquistato. Ivi sorgerà, forse non tardi, un nuovo convento da servire per casa di studio ai giovani religiosi.
Il territorio di Castel Sant'Elia produce grano, granoturco, biada, lupini e bestiame, Coli, elett. Civitavecchia — Dioc. Nepi P2 T. a Nepi.
80 — I.a Patria, voi. III.