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Parte Terza — Italia Centrale
certa considerazione ed importanza al tempo dell'Impero romano, e Plinio ricorda pure Carsulae per un modo curioso e speciale usato da quel popolo per la coltivazione della vite (111,113). Non si sa il tempo in cui la città fu abbandonata. Certo è che sorse nel luogo ove oggi è la chiesuola di San Damiano, come ne fanno fede i varii ruderi che, a suo luogo, ricorderemo.
Varie iscrizioni e molti monumenti scavati in questa località furono trasportati ad Acquasparta dal principe Federico Cesi, ove in quel palazzo fondò, nel 1551, una specie di raccolta antiquaria. Il municipio di Carsulae, fu ascritto alla tribù Clustu-mina. Trovasene anche menzione negli Itinerarii di Vicarello. Attesta poi l'Olstenio, che, ai suoi dì, il luogo ove esistono i ruderi della città, conservava ancora la denominazione di Carsoli (Not. in Cluv., p. 99; D'Anville, Anal. Geogr. de l'Italie, p. 151).
Il nome odierno della terra deriva dal santo protettore, Gemini, che vuoisi d'origine persiana e che abbandonata la patria, pare venisse in Italia, nell'abbazia di San Pater-niano, di Fano, ove abbracciò la religione monastica. Dopo essere stato in altri monasteri, dimorò lungamente in Casuentino e mori poi aFerento nell'815. Casuentino non era lontana da San Gemini e rifabbricandosi, a tempo di Guido II duca di Spoleto, il paese, vi fu trasportato il corpo di San Gemini che diede, come dicemmo, il nome allo stesso paese. Il suo culto si propagò per l'Umbria e gli furono innalzate chiese e monasteri. La città lo dichiarò poi suo protettore, e nello stemma civico fu sostituita la figura del santo su di un cavallo bianco e recante una bandiera svolazzante.
Nel 1014 San Gemini passò sotto il dominio della Chiesa, allorché Enrico II, per le permute fatte con Benedetto Vili, gli restituì le Terre Arnolfe, col ducato spoletino. La città si oppose validamente a Federico II, che era in lotta col papato, e Gregorio IX l'annoverò tra i beni patrimoniali della Chiesa romana. Giovanni XXII, per la resistenza fatta a Lodovico il Bavaro, la dichiarò luogo speciale e distinto, spettante alla Sede apostolica, e Gregorio XI ne confermò ed accrebbe i privilegi. Eugenio IX ampliò il suo territorio, il che confermarono i successori Nicolò V e Callisto III. Giulio II vi pernottò ai 10 marzo del 1507. Nel 1527, nel passaggio che vi fecero i Veneziani capitanati da Francesco Maria I, duca di Urbino, il paese fu saccheggiato ed in parte incendiato. Nel 1530, Clemente VII dette San Gemini in vicariato, per sole tre generazioni, a Ferdinando, duca di Gravina, ed a Giovanni Antonio fratelli Orsini, e dubitando il pontefice che quel Comune ricusasse di prestare ubbidienza agli Orsini, il che infatti avvenne, ordinò ai Comuni vicini, sotto pena di ribellione, di non dare aiuti agli abitanti di San Gemini. Il vicariato fu poi da Paolo III confermato in perpetuo a quella linea maschile ed i cardinali Flavio e Virginio fratelli ne sanzionarono gli statuti, compilati nel 1568. Nel 1590 Urbano VII eresse San Gemini in ducato che nel 1726 fu, dal duca Flavio Orsini, venduto al principe Valerio Santacroce. Nel 17S1 Pio VI, e nel 1804 Pio VII, con loro Brevi confermarono a San Gemini l'antico titolo di città.
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L'abitato trovasi a 349 metri sul mare, nel mezzo di una regione di colline, a 12 chilometri al nord-ovest di Terni; esso è relativamente moderno, per le molte ricostruzioni fatte; ha molti fabbricati, cinti di mura, parecchi dei quali ragguardevoli e regolari.
Chiesa di San Gemini. —Nell'interno, crociera sinistra, è una tela ad olio rappresentante San Sebastiano con due Angioli, opera della seconda metà del XVI secolo. Nel campanile è la campana mezzana recante il nome dell'artefice: Magister Marcus de Venetiis nos fecit... MCCGXlll.
Chiesa (li San Giovanni. — Nel lato nord-ovest possono vedersi gli avanzi dell'antica sua facciata:
il resto fu interamente deformato. Gli stipiti della porla posano sopra due leoni ed erano decorati da una fascia a mosaico. Nella parete t una lapide con ladata della fondazione MCXXXXV, e un'altra, a destra, conserva dei nomi, forse dei costruttori, leggeridovisi Nicola, Simon et Hernardas hoc opus inaperunt... Nell'interno non conservasi alcunché degno di nota ed interessante l'arte o la storia.