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La Patria. Geografia dell'Italia
Provincie di Aquila - Chieti - Teramo - Campobasso
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1899, pagine 379
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Parte Quarta — Italia Meridionale
che appunto questo Giovenco, fiume che scorre anche oggi nella stessa direzione, fosse il Pitonio. Ma non vi può esser dubbio che il soverchio delle sue acque era asportato in origine da un emissario sotterraneo, la cui apertura era visibile in un luogo un po' a nord del suddetto paese di Luco, detto La Pedogna, nome derivante evidentemente dal predetto fiume Pitonio.
Scrittori posteriori andarono più oltre affermando che potevano riconoscere il luogo donde queste acque riemergevano dal canale sotterraneo identificato da essi con le sorgenti dell'Acqua Marcia nella valle dell'Amene, quantunque distassero ben 36 chilometri dal lago Fucino e ne fossero separate dalla profonda valle del Liri. Questa credenza fu accolta generalmente nell'antichità: Strabone la riferisce come un fatto ben noto e Plinio riferisce che l'Acqua Marcia, detta alle sue sorgenti Pitonici; pigliava origine nelle montagne dei Peligni, scorreva a traverso i Marsi e il lago Fucino, cadeva quindi in una caverna e sboccava da ultimo nella valle dell'Aniene, appartenente al bacino del Tevere, donde era trasportata da un acquedotto a Roma. Anche Stazio parla dell'Acqua Marcia come derivante dalle nevi strutte delle montagne marsiche. Nel fatto le sorgenti dell'Acqua Marcia sono alimentate, secondo i più recenti studi idrografici, dalle acque che piovono sul bacino del Fioio, da Oricola e da Rocca di Botte fino sotto il monte Autore, dal quale è dato il maggior contributo.
Gli emissari sotterranei del Fucino furono spesso insufficienti a portar via il soverchio delle sue acque; e il lago andò per conseguenza soggetto a piene improvvise, traboccando, inondando i terreni bassi lungo le sue sponde e cagionando danni gravissimi. Narra Strabone ch'esso gonfiava alle volte in modo da colmare, con le sue acque, l'intiero bacino, lasciando poi a secco ampii tratti di terreno che divenivano coltivabili.
Il progetto di ovviare ai danni provenienti da codesta causa mediante la costruzione di un emissario artificiale, o canale sotterraneo, dal lago alla valle del Liri, fu uno dei grandi disegni di Cesare, troncato dalla sua morte. La sua effettuazione fu poi reiteratamente raccomandata dai Marsi ad Augusto, ma senza effetto, ed era riserbato all'imperatore Claudio compiere la grande opera.
La difficoltà principale consisteva nella durezza della roccia calcarea del monte Salviano, a traverso la quale occorreva aprir la galleria, la cui lunghezza fu ragguagliata da Svetonio a 3 miglia romane ed in cui lavorarono senza interruzione per un periodo di undici anni ben 30.000 operai. L'inaugurazione dei lavori fu festeggiata da Claudio con grande magnificenza e con un finto combattimento navale sul Fucino in cui avvenne una catastrofe nella quale perirono molte persone e Claudio stesso corse grave pericolo. L'emissario però pare riuscisse pienamente ; ma Nerone, per odio di Claudio, lo lasciò deperire e fu necessario che Adriano lo restaurasse.
Da quel periodo non ne abbiamo più notizia; ma pare andasse in rovina nel medioevo e rimanesse ostrutto dalle pietre cadute e dalla terra negli sfogatoi; e, per quanti tentativi si facessero dal IMO ai dì nostri per riattarlo, non se ne venne mai a capo; Federico II di Svevia verso il 1240, Alfonso I d'Aragona verso il 1430 e Sisto V nel 1600, per opera del celebre architetto Fontana, vi si affaticarono indarno. Anche sullo scorcio del secolo passato Ferdinando IV di Napoli tentò il restauro dell'emissario' Claudiano per mezzo delPing. Ignazio Stile, ma ne fu poi impedito dall'incalzare delle vicende politiche. Dal 1826 al 1835 vi si provò il napoletano Afan de Rivera, ma la sua morte troncò a mezzo i lavori incominciati e gli studi da lui lasciati servirono di base all'eccellente e già citata monografia del tedesco Ivrainer.
Perdurando i danni cagionati dalle inondazioni del lago, fu fondata finalmente, nel 1851, una Società per ovviarvi; ma, scarseggiando i mezzi, il ricchissimo principe Alessandro Torlonia si addossò da solo l'impresa. E fu impresa colossale di cui non si vide mai l'uguale in Italia, a tale che, motteggiando, fu eletto: < Il principe Torlonia vuol prosciugare il Fucino, ma il Fucino prosciugherà lui >.