Sicilia 67
Selimintini appiccarono guerra coi loro vicini non-ellenici, i Segestani, ch'eglino incalzarono sì gagliardamente da costringerli a chiedere aiuto ad Atene.
Anche gli esuli Leontini invocarono l'aiuto degli Ateniesi, i quali, giunti allora all'apice della loro potenza, inviarono grandi forze, nominalmente per proteggere i loro alleati in Sicilia, ma in realtà, come osserva Tucidide, nella speranza di impadronirsi di tutta l'isola (Tucid., vi, G).
È impossibile narrar qui partitamene le vicende di quella celebre spedizione di cui toccheremo due parole sotto Siracusa e che furono descritte mirabilmente nella recente Ifistoryof Greece, o Storia della Grecia, dell'inglese Grote (voi. vili, c. 5S-G0). Il suo mal esito puossi attribuire in gran parte alle dilazioni ed alla inoperosità di Nieia che s'indugiò in Catania, invece di por subito l'assediò a Siracusa stessa e diede agio con ciò ai Siracusani di rinforzare ed ampliare le loro fortificazioni nell'istesso mentre che rinfocolavano il coraggio dei loro alleati. L'assedio di Siracusa non cominciò realmente che nella primavera del 414 av. C. e continuò accanito dalle due parti sino al settembre del 113 av. G. I Siracusani erano aiutati dalle principali citta doriche nell'isola, trattone Agrigento, che si tenne in disparte, del pari che da porzione delle tribù siculi ma la più parte di cotesti barbari, in un con le città calcidiche di Nasso e Catania e i Segestani, prestarono aiuto agli Ateniesi.
La sconfitta compiuta dell'esercito ateniese (il più formidabile di gran lunga che invadesse la Sicilia dopo quello dei Cartaginesi sotto Amilcare) par dèsse un predominio irresistìbile alle città Doriche nell'isola e principalmente a Siracusa. Ma non andò guari che esse si videro minacciate di bel nuovo da un'invasione più poderosa.
I Selinuntini approfittarono immediatamente della sconfitta degli Ateniesi per rinnovare i loro assalti contro i loro vicini di Segesta, i quali, non si sentendo in grado di competere con essi, invocarono la protezione di Cartagine.
È notabile che nulla più si legge di un intervento dei Cartaginesi in Sicilia dopo la battaglia d'inora sino a questa occasione, e sombra abbandonassero ogni disegno ambizioso sull'isola, quantunque vi avessero sempre un piede per mezzo delle città di Panormo, Motya (S. Pantaleo) e Solunto (Solanto). Ma essi risolsero ora di approfittare dell'occasione e fecero una spedizione in Sicilia, la quale, a somiglianza della ateniese, parca destinata, non tanto a soccorrer Segesta, quanto a conquistare la intiera isola.
Annibale, nepote d'Amilcare, ucciso adlmera, sbarcò nel 409 av. G. a Lilibeo con un esercito ragguaglialo a 100,000 nomini (?) ed avviatosi difilato a Solino, o Selmunle, vi pose l'assedio immediatamente.
In quel tempo Selinunte era prohabilmente, dopo Agrigento e Siracusa, la città più florida della Sicilia, ma era affatto impreparata alla difesa e fu perciò presa dopo un assedio di pochi giorni soltanto; gli abitanti furono passati a fil di spada o tatti prigionieri e le mura e i pubblici edifizii furono agguagliati al suolo (Diod., xm, 51-53). Annibale volse quindi le armi contro Imcra che potè resistere alquanto più a lungo, ma cadde poi in poter suo; ed egli, per vendicar la sconfitta e la morte del nonno Amilcare, pose a fil di spada tutta la popolazione maschile e distrusse cosi compiutamente la città che non fu in seguito mai più abitata (Diod., xm. 59-62).
Dopo queste prodezze Annibale tornò con la squadra e coll'esercito a Cartagine, ila i suoi trionfi avevano ridesta l'ambizione dei Cartaginesi, che risolvettero di invadere di bel nuovo la Sicilia e nel 406 av. C. vi mandarono un esercito, più poderoso ancora del precedente, sotto il comando di Annibale, al quale associarono Imilcone, figlio di Annone, della stessa famiglia.
Agrigento, allora all'apice della sua potenza ed opulenza, fu, in questa seconda spedizione, la prima mira delle armi puniche, e, quantunque i suoi abitanti avessero fatto tutti gli apparecchi per la difesa e prolungassero in effetto la resistenza per