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La Patria. Geografia dell'Italia
Sicilia
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1893, pagine 684

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   l'arte Quinta — Italia Insulare
   Rute, Erire, Ercole coi loro miti accennano allo sviluppo della pastorizia (Eidos) sostituito dall'agricoltura e terminato col traffico marittimo, nella lotta che Erice la sua campagna ed Ercole i suoi bovi, ornamento delle navi di quelle prime spedizioni, scommettono, restando a quest'ultimo la vittoria.
   Le leggende che rannettevano Erice con Enea ed un capo troiano di nome Elimo accennavano evidentemente a quel che apprendiamo da Tucidide (vi, 2) come un fatto storico, che Erice del pari che Segesta era una città degli Etimi, tribù siciliana, rappresentata da tutti quasi gli antichi scrittori di discendenza orientale. Non pare che Erice ricevesse mai una colonia greca ma fu a grado a grado intensivamente ellenizzata come la più parte delle altre città siciliane, quantunque Tucidide parli sempre degli Elimi, comprendenti il popolo d'Erice e di Segesta, come di barbari.
   Nulla è noto della sua storia prima di questo periodo, ma pare probabile si lasciasse guidare generalmente dalla più potente Segesta e dopo il mal esito della spedizione ateniese divenne un'alleata dipendente dai Cartaginesi.
   Nel 400 av. C. avvenne in vicinanza di Erice una battaglia navale fra una squadra cartaginese e una siracusana in cui quest'ultima rimase vittoriosa (Diod., xui, 80).
   Nella grande spedizione di Dionisio nell'occidente dell'isola (397 av. C.) Erice fu una delle città che si uni al despota siracusano prima appunto dell'assedio da noi narrato di Mozia, ma fu prontamente ricuperata l'anno seguente dalmilcone. Ricadde poi in potere di Dionisio poco prima della sua morte, ma dovette essere di bel nuovo ripresa dai Cartaginesi e continuò probabilmente ad essere sottomessa a Cartagine sino alla spedizione di Pirro nel 278 av, C. In quell'occasione fu occupata da una forte guarnigione che, combinata con la forza naturale della sua situazione, l'abilitò ad opporre una strenua resistenza al re dell'Epiro. Fu però poi presa d'assalto capitanato da Pirro stesso il quale colse il destro di far prova del suo valore personale qua! degno discendente d'Ercole.
   Nella prima Guerra Punica noi ritroviamo Erice in potere dei Cartaginesi e nel 200 av. C. il loro generale Amilcare distrusse la città trasportandone gli abitanti nel vicino promontorio di Drepano (Trapani), portus Erycinorum, ove fondò la città di questo nome. Erice però non pare fosse al tutto disertata e spianata, posciachl apprendiamo da Diodoro, Polibio e Zonara che pochi anni appresso il console romano L. Giunio s'impadronì per sorpresa del famoso tempio e della città.
   11 primo pare fosse ben fortificato e per la sua situazione al sommo della montagna costituiva una ben munita posizione militare. Ciò fu cagione probabilmente che Amilcare Barca abbandonasse improvvisamente la sua forte posizione d'Eri le (ora Monte Pellegrino, presso Palermo), ove accampava da tanto tempo, come abbiamo visto sotto Palermo, per trasportare le sue forze ad Erice come propugnacolo più inespugnabile. Ma quantunque ei s'impadronisse per sorpresa della città d'Erice situata a mezzo la montagna non riuscì a prendere il tempio e la fortezza in vetta difesi strenuamente dalla guarnigione romana che sfidò tutti i suoi sforzi.
   Amilcare frattanto si mantenne nella città d'Erice trasportandone i rimanenti abitanti a Drepano, e, quantunque assediato o bloccato alla sua volta da un esercito romano alle falde della montagna, conservò le sue comunicazioni col mare e non fu costretto ad abbandonare Erice e Drepano se non dopo che la grande vittoria navale di Lutazio Catulo ebbe costretto i Cartaginesi a chiedere pace nel 241 av. G. (Pol., i, 58; Diod., xxiv, 8, p. 509; Liv., xxi, 10, ecc.).
   D'allora in poi Erice andò in dimenticanza e puossi persili dubitare se fosse più riedificata. Cicerone allude al tempio ma non parla mai della città e Strabene ne parla come quasi disabitata a' dì suoi. Plinio enumera, è il vero, gli Erìcini fra le comunità municipali della Sicilia, ma la circostanza mentovata da Tacito che furono i Segestani quelli che chiesero a Tiberio il restauro del tempio, parrebbe indicare