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La Patria. Geografia dell'Italia
Sicilia
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1893, pagine 684

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   Mandamenti e Comuni del Circondario di Mazzara del Vallo GfiI
   che il santuario dipendeva a quel tempo, in senso municipale, da Segesta (Ciò., Verr., 11, 8, 47; Strad., v, p. 272; Pliw, in, 8, s. 14; Tao., Ann., iv, 43).
   Dell'esistenza successiva della città d'Erico non si trova più traccia; i rimanenti abitanti pare si stabilissero in cima al monte ove l'ondarono sul luogo del tempio la moderna città di Monte San Giuliano, sórta sugli avanzi della città antica e circoscritta ancora dalle mura polasgiche, superiormente rinnovate; mentre nessun vestigio si ha d'aver essa occupato il luogo segnato ora dal santuario di Sant'Anna, a circa il mezzo la montagna, come vuole lo Smith (Sicìly, p. 243).
   Come già abbiamo detto, il tempio era generalmente connesso dalla leggenda popolare cori gli stabilimenti troiani in questa parte della Sicilia; se qualche valore si può attribuire a codeste tradizioni esse accennerebbero ad un'antica sede del culto pelasgico piuttostochi-ad un'origine fenicia come suppongono molti scrittori. Anche quelli autori che tengono il tempio fondato prima d'Ignea riferiscono che fu visitato da codesto eroe il quale l'ornò di splendide offerte (Diod., iv, 83; Dionis., i, 53). Certo ò che il santuario ebbe la buona fortuna di essere venerato dai Fenici e dai Cartaginesi del pari che dai Greci e dai Romani. Fin dal tempo della grande spedizione ateniese in Sicilia (415 av. C.) noi apprendiamo da Tucidide (vi, 4    I Cartaginesi pare identificassero la Venere Ericina con la Dea fenicia Astarte e l'avevano quindi in gran reverenza; mentre ì Romani rendevano onori straordinari così alla Dea come al suo santuario per la loro supposta discendenza e parentela con Enea. Fssi non poterono però impedire che i loro Gallici mercenari saccheggiassero il tempio quando fu preso, come abbiamo visto, dal console L. Giunìo (Pol., u, 7); ina pare fosse questa l'unica occasione in cui ebbe a soffrire e le sue perdite furono prontamente risarcite dacché Diodoro ne parla come in florida e doviziosa condizione.
   I magistrati romani inviati a governare la Sicilia non tralasciavano mai di fare una visita d'onore a questo celebre santuario; un corpo di soldati era destinato a fargli una guardia d'onore e diciasette fra le città principali della Sicilia erano obbligate a versare un'annua somma in oro pel suo adornamento (Diod., iv. 83; Strab., v, p. 272; Cic., Verr., n, 8).
   Ciò non di manco la decadenza d'Erice e lo stato, declinante anch'esso in generale, di questa parte della Sicilia, pare fossero cagione che il tempio altresì fosse negletto; quindi nel 25 dì C. i Segestani ne chiesero il restauro all'imperatore Tiberio il quale aderì prontamente ut consanguineus. come dice Tacito (Anm, iv, 43), lasciandone però l'esecuzione a Claudio (Svet., Claud., 25).
   È questa l'ultima menzione del tempio che troviamo nell'istoria e il periodo della sua decadenza finale o distruzione è ignoto. Dei suoi avanzi abbiamo detto più sopra e solo aggiungeremo che alcune belle colonne granitiche sempre esistenti in altre parti della città appartennero senza dubbio, in origine, al tempio.
   II tempio stesso era cinto di fortificazioni in modo da formare una fortezza o cittadella minutissima, distinta al tutto dalla città sottostante a nord-ovest: una medaglia coniata da G. Gonsidio Noniano, nel primo secolo av. G. rappresenta il tempio stesso col suo peribolo (o cortile intorno il tempio) fortificato che racchiudeva porzione ragguardevole del vertice della montagna.
   Anche in Roma era un tempio sacro a Venere Ericina fuori appunto Porta Collina (Strais., v, p. 272), ma l'effìgie sulla medaglia suddescritta è evidentemente quella del tempio originale siciliano,