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La Patria. Geografia dell'Italia
Sicilia
Gustavo Strafforello
Unione Tipografica Editrice Torino, 1893, pagine 684

Digitalizzazione OCR e Pubblicazione
a cura di Federico Adamoli

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   l'arte Quinta — Italia Insulare
   di Diana rapita dai Cartaginesi, probabilmente quando s'impadronirono della città dopo la partenza di Pirro (Gic., Verr., ìv, 39).
   Anche durante la Guerra Servile, nel 102 av. C., il territorio di Segesta è di bel nuovo mentovato come uno di quelli in cui l'insurrezione scoppiò con maggior furia. Ma, ad eccezione di codeste notizie incidentali, poco sappiamo di essa sotto il Governo romano. Par fosse sempre una città ragguardevole al tempo di Cicerone ed avesse un porto od emporio suo proprio nella baia di Castellammare alla distanza di circa 10 chilometri. Codesto emporio par divenisse, ai tempi di Strabone, un luogo più importante della stessa Segesta: ma l'esistenza continuata della città antica è attestata così da Plinio come da Tolomeo; e noi apprendiamo dal primo (ni, 8, s. 14) che gli abitanti, quantunque non conservassero più la loro posizione d'indipendenza nominale, godevano però dei privilegi della cittadinanza latina. Pare però fosse una città in decadenza e non se ne trova in seguito più traccia nell'istoria. Il luogo dicesi fosse finalmente abbandonato per le devastazioni dei Saraceni nel 900 dell'era nostra (Amigo, Ad Fazett. Sic., vu, 4, nota 9) ed è ora compiutamente deserto ; ma la città dì Castellammare, a 10 chilometri circa, occupa a un dipresso, se non precisamente, l'area dell'antico emporio o porlo di Segesta.
   Di Segesta stessa il dotto siciliano Fazello (nato nel 1498, morto nel 1570) così ebbe a scrivere: Io ho ridestato il suo nome ricomprandolo dall'obblio in cui sarebbe rimasto sepolto „.
   Il Tempio e le Rovine di Segesta.
   L'area dell'antica Segesta è sempre segnata dalle rovine d« un tempio e di un teatro. Il tempio (fig. 173), uno dei meglio conservati e dei più grandiosi dell'ordine dorico, rappresentante la massima perfezione dell'architettura siculo-greca, edificato probabilmente verso il 416 av. C. quando Segesta invocò, come abbiamo visto, l'aitilo di Atene e devastato al principio del basso impero, sorge sopra un'alta roccia sporgente sulla valle del fiumicello Gaggera, in una superba regione silvestre e solitaria. Le alture che lo circondano sono: a ovest la piccola catena rivestita di arbusti detta Pispisa, a est l'altura su cui sorgeva Segesta e il picciol dorso dello Tre Croci, a nord il monte Inici. Il fiumicello Pispisa circumfluisce la roccia del tempio, si unisce a nord-ovest col Calemici proveniente dal sud e forma con esso la suddetta Gaggera che corre a nord, incontra oltre le Terme Segestane (di cui parleremo più avanti) il fiume Freddo e sbocca in mare col nome di Fiume San Bartolomeo.
   Il tempio è dorico del genere exastilo-periptero, ossia con colonnato all'ingiro, quale ne abbiamo già descritto in addietro. La sua base è un parallelogrammo lungo metri 60.95 e largo metri 20.40, i cui lati più brevi, secondo l'uso jeratico, sono rivolti a est e a ovest; il peristilio è formato da 36 colonne doriche senza scanalature disposte in modo che 6 stanno sui lati minori e 14, comprese le angolari, sulle ale. Godeste colonne, ciascuna di 11 massi di pietra sovrapposti e non ancora scaneliate, in un con la mancanza della Cella, attestano che il tempio non fu mai compiuto.
   Verso la fine del secolo scorso il principe di Torremuzza, delegato alla cura e preservazione delle antichità del Val di Mazzara, provvedeva alle riparazioni del tempio, il meglio conservato fra i tanti della Sicilia, facendo, come dice egli stesso