Circondario di Acqui
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Il territorio langhese era conosciuto sin dal tempo dei Romani, i quali, nell'anno 187 avanti l'èra volgare (637 di Roma), fissarono i limiti dei Langhesi con uno speciale senato-consulto. Codesti limiti erano i seguenti : incominciavano dal Sadola, influente principale del Polcevera, ivi detto Edus o Edem, risalivano, verso borea, il giogo degli Apennini sino alle fonti del fiume Lemoro o Lemme, seguendolo e talfiata oltrepassandolo alla sua destra, per tenere la via Postumia che da Genova conduceva a Tortona; staccandosi infine da questa via, piegavano a ovest e tornavano per gli Apennini al Sadola.
In seguito, il nome di Langhe si andò estendendo anche di qua degli Apennini sino a comprendervi una parte dei territori di Acqui e di Alba, cotalchè il paese delle Langhe giunse ad avere sino a 58 borgate e villaggi, muniti tutti d'un castello. Nell'evo medio le Langhe furono considerate qual feudo imperiale e furono per la maggior parte in possesso di alcuni rami delle famiglie Del Carretto, Incisa, Spinola e Doria. Nel 1815 passarono, insieme al ducato di Genova, sotto la signoria assoluta del re di Sardegna.
Le Langhe incominciarono ad essere coltivate verso il secolo IX. Secondo alcune notizie trasmesse dal municipio di Cravanzana (comune del circondario d'Alba), quando Carlo Magno traversò i deserti delle Langhe, vuoisi le liberasse ab oneribus et ab honoribu8, e sarebbe questa la ragione per cui da quel tempo i paesi delle Langhe andarono sempre immuni dalle imposte sino all'occupazione francese. Allora, giusta il principio dell'uguaglianza, furono anch'essi assoggettati alle imposte, le quali andarono in seguito aumentando siffattamente che molti abitanti emigrarono ed emigrano nelle Americhe e in Francia, e le campagne inselvatichiscono per mancanza di braccia.
Ma torniamo al circondario d'Acqui. Depositi di calce, scisti e marne, talora con selenite e fèrro ossidato costituiscono i terreni dell'alta e bassa valle della Bormida. Nella valle dell'Erro la massa del terreno è in generale serpentinosa. Nei dintorni d'Acqui abbondano i banchi di grès duro, donde traggonsi grosse pietre che ado-peransi assai bene nelle costruzioni. Varie specie di marmi esistono pure nella valle del Visone, nel cui bacino, come in quello dell'Orba, trovansi sabbie aurifere.
Ma il territorio acquense va rinomato principalmente per la ricchezza di acque minerali salutari, delle quali toccheremo qui due parole. Già i Romani avevano dato ad Acqui, come vedremo, il nome di Aquae Statiellae a cagione appunto delle acque minerali che vi scaturiscono e che furono sempre tenute in gran conto. Coteste acque sono oggidì in numero di dieci. Una trovasi quasi nel centro della città e chiamasi la Bollente; sette scaturiscono alle falde del monte Stregone ed alimentano i bagni, la nona sgorga presso il torrente Ravanasco e la decima presso il torrente Medrio nel comune di Strevi.
Riserbandoci di dir due parole della Bollente nella descrizione della città di Acqui, diremo brevemente delle altre sorgenti del circondario e primieramente di quelle oltre la Bormida, propriamente dette Bagni d'Acqui. Sorgono essi alla destra della Bormida e, come abbiam detto, alle falde del monte Stregone, alla distanza di 1300 metri dalla città d'Acqui, e vi si accede per una magnifica strada fiancheggiata da viali e per un bel ponte di sette archi edificato nel 1847. I Bagni, costruiti sopra una lingua di terra che si formò pel franamento dello Stregone il 31 marzo 1679
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